Saggio sulla lucidità

“Ecco cos’hanno di simpatico le parole semplici, non sanno ingannare.” “Gli esseri umani sono universalmente conosciuti come gli unici animali capaci di mentire, e se è vero che a volte lo fanno per paura, e a volte per interesse, a volte lo fanno anche perché si sono accorti in tempo che era l’unico modo che avevano per difendere la verità.” “Cautela e piedi di piombo non hanno mai fatto male a chi sta in salute.” “…ma il comune, questo, è della città e non la città del comune, spero di essere stato sufficientemente chiaro, signor ministro, Talmente chiaro che le farò una domanda, A sua disposizione signor ministro, Ha votato scheda bianca, Come, prego, non ho sentito bene, … Non si sa mai, signor ministro, non si sa mai.

” Citazioni tratte da “Saggio sulla lucidità” del premio nobel José Saramango.

I risultati delle elezioni amministrative in una capitale senza nome di un paese, anch’esso senza nome, mostrano l’insolita preferenza dei cittadini (oltre il 70%) per le schede bianche. Nonostante i metodi molto duri e repressivi, il governo non ha altra scelta: indire nuove elezioni con un risultato ancora più sorprendente: l’83% delle schede scrutinate risulta essere composto da schede bianche. Saggio sulla Lucidità è una sorta di prosieguo del romanzo Cecità che ha ispirato la newsletter del 29 novembre. Dopo la cecità che nelle settimane scorse ha ridotto di molto la visibilità di tutti gli osservatori sui mercati finanziari, coprendogli gli occhi con una benda non troppo sottile chiamata volatilità, ora le istituzioni monetarie, per prima la Fed, sono chiamate ad avere lucidità ovvero una chiara visione almeno nel medio periodo. (Non diciamo lungo per non scomodare Keynes che soleva ripetere che: nel lungo periodo siamo tutti morti). Jerome Powell non si è tirato indietro e non ha ceduto neanche di un millimetro alle forti, fortissime, pressioni politiche di Donald Trump che con il solito twitter avvelenato, due giorni fa, scriveva che era incredibile come la Fed anche solo pensasse di alzare i tassi. E invece la Federal Reserve è rimasta impassibile e ieri, con Wall Street aperta, ha alzato i tassi a breve di 25 punti base, al 2,25-2,50 per cento. Ha annunciato però un rallentamento della futura stretta, indicando per il 2019 due nuovi possibili rialzi (e non più tre, come a settembre). Ha rivisto inoltre al ribasso le stime di crescita. Il Pil Usa quest’anno salirà del 3% e non del 3,1% come previsto in precedenza; nel 2019 del 2,3%, contro il 2,9% stimato finora. Nonostante i segnali di rallentamento, l’economia continua a espandersi al ritmo maggiore da 10 anni: «Il 2018 – ha detto Powell – è stato l’anno migliore dalla crisi finanziaria esplosa nel 2008». La disoccupazione è ai minimi dal 1969, al 3,7%, i salari sono in ripresa, la spesa al consumo continua a crescere (+0,6% a ottobre). «Un’economia forte, un po’ più del previsto – ha affermato – che sta dando benefici a molti americani» non ha bisogno più di stimoli, è il ragionamento dei policy makers della Fed. Dall’altro lato, però, l’inflazione core continua la sua lenta risalita ed è arrivata all’1,8%, vicina al target Fed del 2 per cento. «L’andamento dell’inflazione negli Stati Uniti – ha concluso Powell – ci consente di essere pazienti sul fronte dei tassi, guardando avanti. Ma in ogni caso vediamo un’attenuazione della crescita: l’indebolimento di quella globale è una delle ragioni alla base della revisione del ribasso del Pil nel 2019». La Fed dunque ha deciso di andare avanti per la sua strada. E se ancora ci fossero dei dubbi Powell ha dichiarato: «La politica non entra nelle nostre decisioni», replicando indirettamente a Trump. Per stabilire chi ha più lucidità, visibilità, ci sono due modi, uno, il più semplice ma anche il meno utile è stare ad aspettare (tradotto rimanere liquidi) il secondo è entrare nei dettagli di una certa scelta o visione. Trump ha sicuramente un interesse nel pressare la Fed affinché la politica monetaria non diventi da espansiva a neutrale: meno spinta all’economia e dunque rischio di un drenaggio di voti. La Federal Reserve non guarda ai voti ma ai numeri, e un atteggiamento morbido troppo prolungato, rischierebbe di gonfiare alcuni asset o meglio creare bolle finanziarie. Esagerare però con i rialzo dei tassi rischia di frenare l’economia. Provando a rimanere lucidi ci si accorge che non c’è niente di opaco: la Fed sta facendo la Fed e Trump il politico. I mercati di conseguenza reagiscono. Un rialzo dei tassi non fa mai bene ai listini. Wall Street rischia di chiudere il suo peggiore dicembre dagli anni ’30, complice anche il forte calo dei tech. A questi livelli il rapporto tra prezzo e utili attesi delle Borse mondiali si è drasticamente ridotto rispetto a inizio anno. Allora si viaggiava su un multiplo di 16 volte, oggi stiamo a 13,3. Siamo ai minimi da 5 anni a questa parte. Nel Vecchio Continente il rapporto prezzo utili attesi dell’indice S&P Europe 350 viaggia in media a quota 12 come non accadeva da giugno 2013. Le Borse europee trattano storicamente a sconto rispetto a Wall Street ma questo sconto è oggi piuttosto significativo dato che si attesta al 20% contro una media storica del 15 per cento. Piazza Affari tratta ad un rapporto prezzo/utili attesi di 8,7 volte. Nettamente al di sotto sia della media europea. La lucidità non è stare a guardare, ci siamo spostati sui difensivi, abbiamo protetto il portafoglio, ora, qualche puntatina nel breve periodo, sull’equity può rappresentare una ghiotta occasione da non lasciarsi scappare. Ricordando però che Cautela e piedi di piombo non hanno mai fatto male a chi sta in salute.