Radici profonde per sostenere la chioma

«Se le radici del sorbo sono poco profonde, l’albero non riesce a sostenere la chioma.»

Citazione tratta da La saga di Terramare, di Ursula Kroeber Le Guin

 

Il 2022 è stato un anno particolarmente complesso per l’economia mondiale e sul 2023 aleggiano svariate incognite. Per questo è utile capire quanto siano solide le basi, o “radici” per dirla con Ursula Kroeber Le Guin, delle principali potenze globali. Infatti, paragonando le più importanti economie a dei sorbi, possiamo dire che se le radici sono poco profonde non riusciranno a sostenere la chioma. All’opposto, se sono profonde, potranno sostenerla anche quando soffia un vento avverso.

Focalizzandosi sugli Stati Uniti, Jeffrey Cleveland, chief economist di Payden & Rygel, ha evidenziato alcune ragioni che indicano delle radici piuttosto solide per ipotizzare un “atterraggio morbido” dell’economia nel 2023. Innanzitutto, bisogna ricordarsi che gli States non sono ancora in recessione. «Il National Bureau of Economic Research – spiega Cleveland – determina le date di inizio e fine di una recessione sulla base di indicatori economici chiave, tra cui il PIL. Otto dei nove indicatori chiave monitorati hanno raggiunto nuovi massimi di ciclo negli ultimi rapporti mensili o trimestrali».

Inoltre, il mercato del lavoro statunitense continua a mostrare una certa resistenza. Il chief economist ricorda infatti che «se ci trovassimo in recessione, il tasso di disoccupazione dovrebbe essere in aumento. Storicamente, nonostante sia considerato un “indicatore ritardatario”, un aumento del tasso di disoccupazione di 0,5% è coerente con l’inizio ufficiale di una recessione. Invece di aumentare, però, la disoccupazione negli Stati Uniti è scesa di oltre un punto percentuale nel corso dell’ultimo anno».

L’esperto sostiene inoltre che non bisogna temere la crescita salariale, e che i rischi di una spirale salari/prezzi sono contenuti: «Gli aumenti salariali continueranno a sostenere i consumi americani e a stimolare la crescita economica. A settembre 2022, le retribuzioni aggregate e i salari erogati sono cresciuti dell’8,2% su base annua, superando le altre misure dell’inflazione core, che hanno oscillato tra il 5% e il 6%».

Un’altra dinamica da tenere a mente? Cleveland ricorda che abbiamo assistito a una correzione nel 2022. Nella prima metà dell’anno il prodotto interno lordo si è contratto e sono scoppiate alcune bolle finanziarie. Si pensi al settore immobiliare e a quello tecnologico, che hanno subito perdite consistenti e che si sono riorganizzati. «Come conseguenza, alcuni eccessi sono stati eliminati dall’economia e dal sistema finanziario, ponendo le basi per una crescita più sana ed equilibrata».

Infine, l’esperto ragiona sull’edilizia abitativa, che rimane una componente chiave dell’indice dei prezzi al consumo. Sottolineando che «la componente relativa agli alloggi, che comprende gli affitti di appartamenti e case unifamiliari, spiega il 40% dell’aumento dell’inflazione core negli ultimi 12 mesi (+6,6%)». Tuttavia, in scia al netto aumento dei tassi ipotecari, i prezzi hanno raggiunto il picco e dovrebbero frenare nel 2023. Di conseguenza, anche la pressione sugli affitti dovrebbe rallentare. Questi elementi portano a una previsione chiara: «Ci aspettiamo, dunque, di vedere segnali di un rallentamento dell’inflazione core entro il secondo trimestre del 2023».

E se le radici in termini di controllo dell’inflazione dovessero risultare più profonde del previsto, la Fed potrebbe ammorbidire la politica monetaria. «La Banca Centrale americana – evidenzia Cleveland – ha aggressivamente aumentato i tassi nel 2022, ma potrebbe fare una pausa e non alzarli di molto nel corso del 2023. Un’inflazione consistentemente più bassa spingerà i redditi reali e la spesa dei consumatori, con la possibilità di estendere la durata del ciclo economico».

Degli scenari più negativi si è già parlato in lungo e in largo, e gli investitori ne sono consapevoli. Dall’altro lato, esistono però potenziali scenari positivi. Una crescita del PIL statunitense tra l’1% e il 2%, un’inflazione core in calo al 3%-4%, un tasso di disoccupazione moderato e una sana crescita dei salari, potrebbero essere gli elementi di un 2023 migliore rispetto ad altre previsioni. Certo, la cautela è d’obbligo, ma gli Stati Uniti hanno le carte in regola per “sostenere la chioma”.