L’arte di essere più forte

«Sapete, Rapp, che cos’è l’arte della guerra? – domandò. L’arte di essere più forte del nemico in un dato momento.»

Citazione tratta da Guerra e Pace, di Lev Tolstoj

 

L’«arte della guerra» in Guerra e Pace viene definita come «l’arte di essere più forte del nemico in un dato momento». Ed è una descrizione che calza perfettamente con quanto sta accadendo tra Stati Uniti e Cina. Le due superpotenze stanno infatti combattendo delle “guerre”: guerre diplomatiche, commerciali, politiche ed economiche. Così, come accade tra due “nemici”, in questo dato momento storico ognuno cerca di affermare la sua supremazia sull’altro. I mercati, intanto, monitorano attentamente le relazioni tra Washington e Pechino, a causa delle ripercussioni che esse hanno sul mondo della finanza.

In particolare, desta preoccupazione la vicenda degli uiguri, per le implicazioni umane e le conseguenti ritorsioni. Secondo alcune fonti del Financial Times di cui si parla in un articolo pubblicato ieri, la Casa Biana si appresta a colpire pesantemente aziende del settore tecnologico e sanitario del dragone per il loro presunto coinvolgimento nella repressione della minoranza musulmana nella regione autonoma dello Xinjiang. Già in questi giorni potrebbero essere ufficializzati i nuovi nomi della “lista nera”. Nel mirino sono finite 8 società, a cui è già precluso l’accesso a tecnologie e componenti made in Usa. Le ulteriori restrizioni saranno finanziarie: agli investitori statunitensi sarà proibito mettere soldi in queste aziende. Tra le realtà colpite c’è anche Dji, il più grande produttore di droni commerciali al mondo, poiché ha contribuito alla sorveglianza sistematica degli uiguri.

Le altre società tech cinesi che saranno sanzionate sono Megvii, Dawning Information Industry, CloudWalk Technology, Yitu Technology, Leon Technology, Xiamen Meiya Pico, NetPosa Technologies. Bisogna tuttavia dire che le imprese quotate del settore non hanno (per il momento) accusato il colpo in Borsa. Accanto alla sopracitata misura, comunque, si potrebbe aggiungere un blocco delle esportazioni di tecnologie statunitensi a più di 20 altre aziende cinesi, tra cui diverse nel campo della biotecnologia, come spiegato dal Financial Times che però non le ha identificate. Il sospetto è caduto su Wuxi Biologics Cayman, il cui titolo ha subìto degli scossoni dopo l’indiscrezione. In questo caso, tutto l’indice azionario di Hong Kong che traccia il settore sanitario ne ha risentito, cedendo oltre il 6%.

«È un calo estremamente doloroso e fino a quando non conosceremo maggiori dettagli è difficile per noi intraprendere qualsiasi azione – ha commentato Lin Cun, fund manager di Shenzhen Senrui Investment specializzato nell’healthcare – C’è molta confusione in quanto non ci sono né nomi né dettagli su quali saranno le sanzioni, e soprattutto perché tanti ordini sono già stati firmati in anticipo e non si sa cosa accadrà». Infine, è possibile che la Casa Bianca prenda in considerazione l’imposizione di restrizioni più pesanti al maggiore produttore di chip cinese, Semiconductor Manufacturing International.

Tutte queste azioni vanno quindi a incrementare la strategia che il governo Biden sta seguendo da tempo per arginare la super-rivale. Sempre questo mese, SenseTime, società di software di riconoscimento facciale, ha rimandato la sua Ipo da 767 milioni di dollari a Hong Kong, dopo che sempre il Financial Times aveva scritto dell’inserimento della startup nella lista nera degli States, cosa poi verificatasi. E bisogna aggiungere anche il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi invernali che si terranno a Pechino il prossimo febbraio.

Ma la “guerra” non è necessariamente tra nazioni. Basti pensare alla Federal Reserve, che ha “dichiarato guerra” all’inflazione. Per dimostrare di “essere più forte” della nemica, l’istituto ha annunciato ieri l’accelerazione del tapering. Gli acquisti di titoli di Stato saranno ridotti, da gennaio, di 20 miliardi di dollari al mese, e quelli di mortgage-backed securities di altri 10 miliardi di dollari, per calare rispettivamente a 40 e 20 miliardi mensili. La riduzione continuerà con questo ritmo (il doppio rispetto alle decisioni di inizio novembre) finché, a marzo, si arriverà a quota zero. I tassi resteranno però bassi, allo 0-0,25%. Fino a quando il tasso di disoccupazione non tornerà a livelli coerenti con l’obiettivo di massima occupazione.