La scalata dei tassi

«Quella scalata non promette neanche un secondo di gioia, soltanto preoccupazione, fatica immane, paura, mal di montagna […]»

Citazione tratta da Polizia, di Jo Nesbø

 

Gli investitori azionari, generalmente, non amano i rialzi dei tassi d’interesse delle banche centrali. Potrebbero benissimo definirli – riprendendo Jo Nesbø – come una «scalata» che «non promette neanche un secondo di gioia». Ciò che riserva è «soltanto preoccupazione». Tuttavia, è un percorso talvolta necessario e, una volta raggiunta la vetta, lo scenario può cambiare totalmente, rilanciando un sentiment positivo durante la successiva fase di ridiscesa.

Oggi, a che punto siamo della scalata? Focalizzandoci sugli Stati Uniti, di recente il vicepresidente della Federal Reserve Michael Barr ha dichiarato che la banca centrale dovrebbe procedere con cautela. Sottolineando che l’attenzione non dovrebbe concentrarsi sull’aumento dei tassi d’interesse, bensì sulla durata del loro mantenimento.

«A mio avviso – ha detto Barr – la domanda più importante a questo punto non è se sia necessario o meno un ulteriore aumento dei tassi quest’anno, ma piuttosto per quanto tempo dovremo mantenere i tassi a un livello sufficientemente restrittivo per raggiungere i nostri obiettivi», ovvero il contenimento dell’inflazione intorno a una media del 2%. «Mi aspetto che ci vorrà del tempo», ha poi aggiunto.

Tuttavia, ad oggi ci sono ancora molte incognite. Loretta Mester, presidente della Fed di Cleveland, ha detto che la scalata potrebbe proseguire con un ulteriore rialzo dei tassi quest’anno, per poi mantenerli su livelli elevati. La decisione finale, comunque, dipenderà dall’andamento dell’economia.

Secondo Mester, vi sono alcuni fattori di rischio che potrebbero influenzare le previsioni su inflazione e crescita, ovvero il rallentamento economico in Cina e le possibilità di scioperi prolungati da parte dei membri del sindacato United Auto Workers. Ma anche un potenziale shutdown del governo, al momento scongiurato grazie all’accordo raggiunto in extremis sul bilancio USA, almeno fino al 17 novembre.

Relativamente all’aumento dei prezzi del gas, che ha un impatto sui consumatori, la Mester ha spiegato che «ci saranno sicuramente persone che dovranno ora deviare parte delle loro spese» per sostenere l’incremento dei costi. Tuttavia, ha aggiunto che, nonostante la moderazione della spesa dei consumatori, non si prevede «un cambiamento improvviso in quello che abbiamo visto finora nell’economia».

Una certezza è invece il fatto che, il mese scorso, la Fed ha deciso di lasciare invariato il suo tasso di riferimento nell’intervallo 5,25%-5,5%. Dal punto di vista dei risultati della politica monetaria, Barr ha evidenziato dei progressi nel rallentamento dell’inflazione. Infatti, l’indice dei prezzi al consumo, che a giugno dello scorso anno cresceva a un ritmo del 9%, ad agosto ha registrato un aumento del 3,75% circa.

Barr ha poi aggiunto di ritenere che i pieni effetti della politica restrittiva della Fed – caratterizzata non solo dalla scalata dei tassi ma anche sulla riduzione del suo bilancio – «devono ancora arrivare nei prossimi mesi».

In Europa, invece, a che punto siamo? Una risposta l’ha data Philip Lane, membro del comitato esecutivo dell’Eurotower, che nei giorni scorsi è intervenuto alla conferenza annuale della banca centrale di Lituania. Sottolineando che «sulla base della nostra valutazione attuale, riteniamo che i tassi di interesse di riferimento della BCE abbiano raggiunto dei livelli che, mantenuti per una durata sufficientemente lunga, daranno un contributo sostanziale al tempestivo rientro dell’inflazione sul nostro obiettivo». Lo stesso messaggio è stato ribadito dalla numero uno della Banca centrale europea, Christine Lagarde, con delle dichiarazioni rilasciate il 4 ottobre.

Dunque, la scalata europea dovrebbe aver raggiunto la vetta. Tuttavia, Lane ha anche precisato che l’Eurotower continuerà «a seguire un approccio dipendente dai dati per determinare il livello appropriato e la durata della restrizione». In particolare, le prossime decisioni sui tassi di interesse si baseranno sulla valutazione delle prospettive di inflazione, sui nuovi dati economici e finanziari, sulla dinamica dell’inflazione di fondo e sulla forza della trasmissione della politica monetaria. Lane, infine, ha spiegato che il ritiro delle misure di quantitative easing ha drenato un totale di 1.700 miliardi di euro.

Quando si tornerà a politiche espansive? Difficile dirlo con certezza, ma sicuramente chi ragiona in ottica di medio-lungo termine non deve farsi prendere dal panico. Perché i rendimenti possono premiare chi agisce con arguzia e pazienza.