La pace e la guerra

«Per voler la pace non c’è altra via che quella di prepararla coi trattati di commercio e di lavoro, che stringono tra gli uomini legami di solidarietà; e chi prepara la guerra, anche a fini che crede difensivi, non fa altro, senza accorgersene, che volere la guerra»

 

Citazione tratta dal libro Lo Stato siamo noi, di Piero Calamandrei

L’Iran, questa settimana, ha lanciato missili contro le forze guidate dagli Stati Uniti in Iraq. L’attacco è arrivato in risposta all’uccisione del generale iraniano, Qassem Soleimani, colpito da un raid degli USA a Baghdad nei giorni scorsi. Il mondo e i mercati ora guardano a tutte le possibili conseguenze: c’è «chi prepara la guerra»? La situazione è tesa e l’Ayatollah Ali Khamenei ha rilasciato dichiarazioni furenti contro gli States. Ma alcuni funzionari di Teheran hanno detto che il Paese mediorientale non vuole un conflitto militare con gli americani. Anche il ministro degli Esteri della Repubblica islamica, Javad Zarif, ha gettato acqua sul fuoco scrivendo, su Twitter, che l’Iran non cerca né l’escalation né la guerra. Dal canto suo, il presidente americano, Donald Trump, ha detto che verranno imposte nuove sanzioni a Teheran e ha chiesto di interrompere il programma nucleare, ma ha escluso una guerra.

Nei giorni dell’uccisione di Soleimani e del lancio di missili vero le forze a guida americana, le tensioni geopolitiche hanno spinto al rialzo il prezzo del petrolio, e ora bastano delle dichiarazioni da parte degli States o dell’Iran per far oscillare le aspettative degli operatori. Sarebbe bello se i governanti americani e iraniani facessero proprie le parole di Piero Calamandrei e cercassero la pace, preparandola anche «coi trattati di commercio e di lavoro, che stringono tra gli uomini legami di solidarietà», l’opposto di quello che sta accadendo.

Anche se i mercati credono in una progressiva distensione, non passa di moda l’oro, considerato tra i principali beni rifugio. Secondo alcuni analisti, nel 2020 le politiche monetarie accomodanti e i bassi tassi reali supporteranno i metalli preziosi, con probabili picchi di volatilità durante gli eventi chiave delle elezioni presidenziali americane.

Le borse, intanto, guardano anche agli sviluppi sul fronte commerciale tra Washington e Pechino. La firma della “fase uno” dell’accordo per porre fine alla disputa tariffari è attesa a breve; nel giorno di San Silvestro, Trump aveva dichiarato via Twitter che avrebbe siglato il negoziato il 15 gennaio durante una cerimonia che avrà luogo alla Casa Bianca.

A livello macroeconomico, la bilancia commerciale degli Stati Uniti ha registrato a novembre un deficit di 43,09 miliardi di dollari, in ribasso rispetto al risultato del mese precedente (46,94 miliardi). Sul fronte dell’occupazione, in base alle stime dell’Automatic Data Processor, negli USA a dicembre sono stati creati 202.000 posti di lavoro in più rispetto a novembre, battendo di gran lunga le stime, pari a +150.000 unità.

In Europa, invece, è stata pubblicata la lettura preliminare dell’inflazione nell’area euro a dicembre, la quale è aumentata dell’1,3% a livello annuale, in accelerazione dal +1% di novembre e in linea con le attese degli economisti. L’indice core, sempre a dicembre, è cresciuto dell’1,3% rispetto allo stesso mese 2018, leggermente al di sotto del consenso (+1,4%). Nell’opinione di alcuni esperti, la Banca Centrale Europea rimarrà attendista per il momento, perché sembra più probabile un contesto di crescita moderata e bassa inflazione rispetto a uno scenario di stagflazione. Intanto, sul Vecchio Continente continua ad aleggiare lo spettro dell’Hard Brexit per via delle scelte del premier britannico Boris Johnson, intenzionato a fare uscire il Regno Unito dall’Unione Europea rapidamente e a qualsiasi costo. La Gran Bretagna dovrebbe lasciare l’UE il 31 gennaio, data in cui scatterà un periodo di transizione di 11 mesi. Le parti avranno quindi tempo fino alla fine dell’anno per negoziare un accordo che disciplini i rapporti commerciali, un breve periodo data la complessità delle discussioni. Klaas Knot, presidente della Banca Centrale dei Paesi Bassi e membro della BCE conferma il rischio di una Hard Brexit alla fine del 2020, ricordando che un tale scenario potrebbe incidere pesantemente sulle attività di import/export.

Buone notizie arrivano dalla Germania: a novembre la produzione industriale è salita dell’1,1% rispetto al mese precedente, oltre le attese degli economisti che avevano stimato un aumento dello 0,7%.