La nave, le onde e il faro

«La nave si inclinava sempre di più, le onde si alzavano minacciose. Io sentivo che stavo per cadere in mare, che non avrei più trovato la forza di resistere. E poi lo vidi, il faro, la luce bianca che mi indicava la strada. Mi aggrappai a una corda, e un braccio forte mi tirò su»

Citazione tratta Moby Dick, di Herman Melville

Proprio come in Moby Dick, le onde si alzavano minacciose sulla First Republic Bank, e aumentava il rischio di cadere in mare. Ma alla fine è comparso un faro che ha indicato la strada. Il faro delle istituzioni e di JP Morgan.

Ma andiamo con ordine. Lunedì mattina, le autorità di controllo federali americane hanno annunciato di aver messo sotto amministrazione straordinaria First Republic Bank, e di aver immediatamente concluso un accordo per la vendita della maggior parte delle attività a JPMorgan Chase. Con questa mossa è stata messa in salvo una banca di dimensioni medie, che si è trovata in enormi difficoltà economiche dopo il fallimento della Silicon Valley Bank. Nonostante la forte impronta regionale, l’eventuale default incontrollato della First Republic avrebbe avuto ripercussioni sull’intero sistema finanziario.

L’intervento delle autorità, in particolare della Federal Deposit Insurance Corporation (che offre garanzie sui conti correnti), si è reso necessario a seguito del crollo delle azioni in Borsa della banca e della corsa al ritiro dei soldi depositati da parte dei suoi correntisti, che temevano di perderli. Sulle modalità con cui agire in questi casi esistono diverse filosofie, ma la maggior parte degli esperti sostiene che non si poteva restare a guardare il fallimento della banca, a causa delle potenziali ripercussioni di sistema.

Insomma, serviva un faro che indicasse la strada. E così si è arrivati a un accordo: secondo un comunicato reso noto dall’Authority di regolamentazione americana, JPMorgan assumerà tutti i 103,9 miliardi di dollari di depositi di First Republic e acquisterà la maggior parte dei suoi 229,1 miliardi di dollari di attività. Inoltre, «si assumerà tutti i depositi, compresi quelli non assicurati, e sostanzialmente tutti i beni di First Republic Bank».

Il percorso che ha condotto l’istituto a dover essere salvato da una mano esterna è analogo a quello della Silicon Valley Bank. Anche First Republic, infatti, è caratterizzata da una clientela composta soprattutto da aziende, con conti correnti elevati. E che quindi non rientrano nella soglia entro cui le normative statunitensi garantiscono il rimborso in caso di fallimento (250 mila dollari). Le imprese clienti, negli ultimi mesi, hanno spostato altrove molti dei soldi che avevano in deposito.

Il motivo della fuga si deve alle preoccupazioni per le fragilità economiche della First Republic Bank, che negli scorsi anni si era esposta concedendo prestiti a lungo termine a un tasso d’interesse basso, allora in linea con il costo del denaro. I problemi sono quindi cominciati quando la Federal Reserve ha inaugurato una politica restrittiva per contenere l’inflazione, rendendo meno attraenti le obbligazioni emesse in precedenza. Dopo il crollo della Silicon Valley Bank, pertanto, si è diffuso il timore che la First Republic potesse crollare a sua volta. 

Ma adesso la situazione è sotto controllo. E il CEO di JPMorgan, Jamie Dimon, ha affermato che, a seguito dell’acquisizione, il sistema bancario appare «molto molto solido». Certo, bisogna rimanere cauti e monitorare costantemente il comparto. Tuttavia, nel corso della conference call indetta per annunciare l’acquisizione di First Republic, Dimon è stato chiaro: «This part of the crisis is over». Il CEO ha risposto con parole nette anche a chi teme il ripetersi di precedenti crisi. L’attuale situazione, ha assicurato, non ha nulla a che vedere con quella del 2008. Tornando all’immaginario di Melville, oggi abbiamo fari più potenti per poter confidare nel raggiungimento, sani e salvi, del porto.

Perciò, anziché farsi prendere dal panico, conviene analizzare le prospettive future, guardando innanzitutto alle mosse delle banche centrali. Tra cui la FED, che mercoledì ha alzato il tasso di riferimento dello 0,25%, portandolo al 5-5,25 per cento (come previsto). Sono però cambiate le indicazioni sulle mosse future: nel comunicato si parla con cautela del «valutare in che misura possano essere appropriati ulteriori rialzi». Insomma, non si possono escludere ulteriori strette ma i toni sono molto più “delicati”, ed è probabile che la FED diventi un po’ più colomba. E relativamente alle banche? Il presidente Jerome Powell ha detto che il settore «è ampiamente migliorato da marzo e il sistema è sano e resiliente».