La leggenda del santo bevitore

“Vedo bene che lei in questo momento è in difficoltà. Non si offenda a queste parole, però lei avrà certamente bisogno di soldi. Io ne ho anche troppi. Vuole dirmi, in tutta sincerità, quanto le occorre? Almeno per tirare avanti.

L’altro rifletté un paio di secondi e disse: “venti franchi”.

“Sono troppo pochi – rispose l’anziano signore –  di sicuro gliene servono duecento”.

L’uomo malandato arretrò di un passo e sembrò sul punto di cadere ma riuscì a restare in piedi pur continuando a barcollare.

Quindi disse: “Senza dubbio 200 franchi sono meglio di venti, io però sono un uomo d’onore. A quanto pare mi giudica in modo sbagliato. Non posso accettare il denaro che mi offre, per i seguenti motivi: primo, perchè non ho il piacere di conoscerla; secondo perché non so come e quando potrei restituirglielo; terzo perché non potrebbe venire a cercarmi. Non ho casa”… tratto da “La leggenda del santo bevitore” di Joseph Roth …

 

 Il libro segue le vicende di un barbone alcolizzato, Andreas Kartak. Vive sotto i ponti di Parigi: ricevuto un po’ di denaro da un passante, si impegna a restituirlo la domenica seguente, facendo un’offerta nella cappella di Santa Teresa di Lisieux. Molte volte Andreas, aiutato dal destino, avrà in tasca una somma di denaro sufficiente per saldare il proprio debito, recuperando l’onore e la dignità; altrettante volte si lascerà però distrarre da amori, vizi, vecchie amicizie, ricadendo puntualmente nel circolo vizioso dell’alcol.

La liquidità, i miracoli delle politiche monetarie espansive, i debiti, i buoni propositi e le aspettative. La leggenda del santo bevitore va in scena sui nostri mercati da ormai qualche anno.

Siamo nella fase dei miracoli. Con le tasche piene. Il buon samaritano, Mario Draghi, ha chiarito che non ci sarà nessun cambio delle politiche monetarie espansive, almeno nel breve. I debiti che i Paesi periferici europei si ripromettono di ridurre sono sempre lì. La Grecia ha trovato un accordo, ma ancora una volta non si tratta di una soluzione definitiva. Lo stesso vale per l’Italia, con il rendimento del decennale mantenuto artificialmente a un livello inferiore a quello del Treasury Usa. Angela Merkel o meglio i falchi europei, non sembrano aver fretta di riscuotere. Solo Spagna e Portogallo lamentano favoritismi all’Italia. Intanto la liquidità inebria tutti. Wall Street veleggia ancora sui massimi. Dall’altra parte dell’Oceano il buon samaritano è Donald Trump con le sue promesse di tagli fiscali.   Le Borse europee hanno ritrovato ottimismo, grazie al rimbalzo dei petroliferi e alla ripresa del settore bancario.

“Ma nel fondo dei bicchieri i più attenti riescono a leggere il futuro”… I mercati dei bond hanno cominciato a muoversi e sembrano non voler tornare indietro, la normalizzazione dei tassi è ineluttabile, meglio prepararsi. Il rendimento sul bond a due anni è ai massimi dal 2009. Il tasso del decennale Usa è posizionato a circa 10 punti base sopra le aspettative di inflazione. Il rendimento del Bund tedesco quota sui massimi da inizio anno, di pari passo si è mosso il decennale italiano, lasciando, di fatto, lo spread invariato.  Non importa se tre membri della Bce, Yves Mersch, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann e Peter Praet, hanno giudicato “appropriata” la linea della Bce.

Le parole del falco Weidmann vanno rilette alla luce degli intrighi che si stanno tramando dietro le quinte della Bce. Il candidato tedesco più papabile alla successione di Draghi nel 2019, sembra essere in forte difficoltà. Sarebbe, infatti, questa indiscrezione che ha diffuso l’ottimismo tra i mercati. Weidmann ha sempre criticato la politica espansiva e ora, per motivi forse elettorali, avrebbe ammorbidito i toni. Prosegue anche la normalizzazione dei cambi con un dollaro che recupera sull’euro.

Ad inebriare i mercati è stato il rimbalzo del prezzo del greggio. Nove sedute di fila al rialzo. Sono arrivati segnali di rallentamento dall’attività di ricerca e sviluppo di giacimenti nel Nord America, l’indice Baker Hughes sul numero di trivelle attive la scorsa settimana ha registrato il primo calo da inizio anno. Le trivelle attive scendono a 756 da 758 della settimana precedente, il minimo da gennaio. Lo shale gas americano batte in testa. Non importa se la produzione in Libia si è portata su un milione di barili/giorno, siamo ancora sotto ai massimi del 2011, 1,6 milioni. Di fatto l’aumento della produzione di Libia e Nigeria vanificano i tagli Opec.

Il rimbalzo del greggio riaccende i fari sulle commodity. L’oro è sui minimi dell’anno mentre vola il grano. La siccità in Usa e in Australia ha fatto schizzare i prezzi ai massimi da oltre due anni.

L’ebrezza riaccende la volatilità, con il confronto tra quella implicita del Nasdaq 100 e l’S&P500 che si riporta al massimo dal 2007.

Oggi i mercati sono concentrati sulla crescita, i dati macro sono incoraggianti soprattutto in Europa. Negli Stati Uniti non siamo sui massimi ma non ci si può lamentare.  Il recupero del greggio sgonfia le tensioni soprattutto sul rublo mentre in Giappone preoccupa la batosta elettorale sul partito del premier Shinzo Abe ma nel breve non temiamo cambiamenti delle politiche monetarie.

Nel racconto di Roth, Andreas fa una brutta fine “lieta e bella”. L’ebrezza su determinate asset class potrebbe rivelarsi pericolosa, soprattutto quella legata ai debiti, meglio essere cauti. Non serve arrivare fino in fondo al bicchiere per leggere il futuro. Potrebbe essere tardi.