La guerra del gas al di là dei discorsi ufficiali

«Sono convinto che la motivazione più autentica, quella però che meno traspariva dai discorsi ufficiali, fosse la formidabile potenza conseguita da Atene e l’apprensione che ne derivava per Sparta: e la guerra fu inevitabile.»

Citazione tratta da La guerra del Peloponneso, di Tucidide

 

Tra Europa e Russia si è aperta la “guerra” del gas naturale, che sta impattando anche sui futures annessi. Andando ad analizzare il conflitto alla maniera di Tucidide, possiamo dire che Mosca è una «formidabile potenza» nell’esportazione della materia prima, e ne deriva una certa «apprensione» a Bruxelles, che invece è importatrice. Se guardiamo i «discorsi ufficiali», una settimana fa il presidente russo, Vladimir Putin, aveva acquietato i mercati del gas naturale, dicendo che avrebbe aperto a maggiori erogazioni verso l’Europa. Ma il politico ha poi fatto marcia indietro, marcando il fatto che le forniture supplettive sono strettamente legate al Nord Stream 2.

Parliamo di un gasdotto che, attraverso il Mar Baltico, trasporta direttamente il gas proveniente dalla Russia in Europa occidentale, passando per la Germania. L’infrastruttura e i piani per il suo ulteriore utilizzo sono al centro di forti critiche da parte degli Stati Uniti, dai tempi dalle amministrazioni di Barack Obama e Donald Trump. Washington è in apprensione perché, con lo stringersi dei legami energetici tra Russia e Germania, si prefigura una crescente dipendenza di Berlino e del resto d’Europa dal gas russo. E Mosca potrebbe usare questa sua formidabile e crescente potenza per fare pressioni sull’Ue, anche se nei discorsi ufficiali lo ha sempre negato.

L’energia elettrica consumata nell’Unione Europea dipende per il 20% dal gas proveniente dalla Russia. Ma ci sono Paesi, come l’Italia, dove la percentuale è superiore anche al 40%. E Putin non intende fare sconti. La strategia di Mosca è diventata ancora più esplicita nella giornata di lunedì 18, quando ha annunciato di aver riempito i tubi del Nord Stream 2, rendendo il gasdotto pronto a un avvio immediato, ma dall’altro ha continuato a ignorare le altre rotte di approvvigionamento del mercato Ue, che avranno capacità di trasporto ridotte.

Dallo scorso marzo, il prezzo del gas naturale si è impennato, passando da circa 18 euro per megawattora agli oltre 60 euro di fine settembre. Certo, la tendenza al rialzo non dipende solo dalle scelte russe, ma anche del forte aumento della domanda di energia dovuto alla ripresa delle attività industriali e produttive. Tuttavia, Mosca sta approfittando delle circostanze per mettere all’angolo l’Europa.

Durante una conferenza, Putin ha fatto una dichiarazione precisa, formalmente diplomatica ma di fatto un aut aut: «Naturalmente, se potessimo espandere le forniture lungo questa via (il Nord Stream 2, ndr), allora posso dire con assoluta certezza che la tensione sul mercato europeo dell’energia diminuirebbe significativamente, e questo influenzerebbe i prezzi, ovviamente». A differenza della guerra del Peloponneso, il finale di questa “guerra” del gas è ancora da scrivere, ma una cosa è certa: finché l’Unione europea non troverà il modo di rendersi indipendente sotto il profilo energetico, lascerà un fianco scoperto alle sciabolate della Russia.

Rimanendo nel Vecchio Continente, dal Financial Times è arrivata un’indiscrezione particolarmente interessante: «La Banca centrale europea sta considerando l’innalzamento del limite di acquisti di obbligazioni emesse dalla Ue» con il Next Generation Eu, in una «mossa che rafforzerebbe ulteriormente lo status del rivoluzionario programma di debito congiunto» dei Ventisette, contribuendo a mantenere bassi i tassi di interesse. Secondo le fonti del quotidiano londinese, sarebbero già quattro i membri del consiglio direttivo dell’Eurotower favorevoli all’incremento della potenza di fuoco degli eurobond.

L’ipotesi sarà discussa in due riunioni speciali del board a partire da novembre. Una propensione «verso l’acquisto di più obbligazioni della Ue aiuterebbe anche la Bce a sostenere i mercati finanziari senza scontrarsi con regole che le impediscono di possedere più di un terzo del debito pubblico di ogni singolo Paese», evidenzia il Financial Times. Ma nulla è scontato, perché il piano ha bisogno del sostegno della maggioranza dei 25 membri del consiglio dell’Eurotower, ed è probabile che «incontrerà l’opposizione dei membri più conservatori» come l’olandese Klaas Knot. O il governatore della Banca centrale tedesca, Jens Weidmann, che, tra l’alto, ha fatto sapere a sorpresa che lascerà a fine anno. «Mi sono convinto che dopo oltre dieci anni questo è un buon momento per ricominciare un nuovo capitolo – ha detto il “falco germanico” – Per la Bundesbank ma anche per me personalmente».