La “diversità radicale” tra USA e Cina

«È stata dedicata scarsa attenzione alla possibilità che la Cina, pur trasformandosi, rimanga profondamente diversa da noi. L’America per sua natura non è attrezzata ad accettare una diversità così radicale.»

Citazione tratta da Occidente estremo: Il nostro futuro tra ascesa dell’impero cinese e declino della potenza americana, di Federico Rampini

 

I rapporti USA-Cina sono tornati, nuovamente, sotto i riflettori dei mercati: le tensioni tra le nazioni destano preoccupazione. Le due superpotenze, una democratica e l’altra dittatoriale, rimangono infatti profondamente diverse e, come scrisse già nel 2010 Federico Rampini, «l’America per sua natura non è attrezzata ad accettare una diversità così radicale».

Senza considerare che gli States, una potenza che però non ha più la stessa egemonia del ‘900, non possono guardare con simpatia alla continua crescita della potenza cinese. L’ultimo pomo della discordia riguarda Taiwan, visitata questa settimana da Nancy Pelosi, Speaker della Camera USA che, durante un un discorso al parlamento di Taipei, ha salutato l’isola come «una delle società più libere del mondo».

La Cina, che considera Taiwan non un libero Stato ma una regione ribelle da riconquistare, è andata su tutte le furie. Si pensi che l’ultimo Speaker della Camera ad andare sull’isola fu Newt Gingrich nel 1997. Ma la visita di Pelosi è arrivata in un momento totalmente diverso, con un forte deterioramento delle relazioni sino-americane e con la Cina che nel frattempo è emersa come una potenza economica e militare, molto più potente di quanto non fosse nel 97.

Gli Stati Uniti dovranno affrontare delle ritorsioni da parte di Pechino? Sembrerebbe di sì, secondo quanto ha detto Fu Cong, direttore del dipartimento di controllo degli armamenti del ministero degli Esteri cinese, in un’intervista all’agenzia russa Tass. «Queste azioni statunitensi porteranno a gravi conseguenze. Verranno prese serie ritorsioni ai danni degli Stati Uniti», ha detto il diplomatico. Aggiungendo che la Cina «sta facendo tutto il possibile per riunificare pacificamente il Paese, anche se non rinunciamo all’opzione militare».

Taiwan ha poi prontamente risposto: la presidente Tsai Ing-wen ha assicurato che l’isola «non si tirerà indietro». «Continueremo a mantenere la linea di difesa della democrazia», ha sottolineato la politica. Certo, la situazione è tesa e va monitorata con cura, il riaccendersi del braccio di ferro tra USA e Cina non fa bene alle Borse, ma in fondo i mercati confidano nel fatto che nessuna della due superpotenze voglia scatenare davvero una guerra.

E se dal punto di vista geopolitico è questa la situazione, dal punto di vista macroeconomico, in mezzo a mille difficoltà, sono stati diffusi dati positivi. Il Pmi Caixin China General Services è cresciuto a 55,5 punti a luglio 2022 dai 54,5 di giugno, segnando il secondo mese consecutivo di incremento. Parliamo del ritmo di espansione più veloce nell’ambito dei servizi dall’aprile 2021: ciò significa che si tratta di un ulteriore miglioramento della situazione Covid-19, dopo il parziale allentamento dovuto ai lockdown degli scorsi mesi.

Le note negative riguardano i nuovi ordini per l’esportazione, che sono calati per il settimo mese consecutivo, e l’occupazione che è in leggera contrazione. Relativamente ai prezzi, i costi di produzione (input) sono rimasti stabili, mentre i prezzi dei generi alimentari e dei salari hanno registrato degli incrementi; alcune merci sfuse, tuttavia, hanno visto delle diminuzioni dei costi.

Infine, bisogna segnalare che la fiducia dei consumatori è ai massimi da novembre 2021, ed è sostenuta dalle speranze di una ripresa della domanda. «In generale, l’allentamento della situazione Covid e dei lockdown hanno facilitato una continua ripresa dell’economia», ha spiegato Wang Zhe, economista di Caixin Insight.

Focalizzandosi sugli States, invece, tiene banco la lotta all’inflazione. Nel corso del 2022 la Fed ha alzato quattro volte il tasso di interesse di riferimento, per un totale di 2,25 punti percentuali. Ma probabilmente verranno fatti ulteriori interventi, e le recenti dichiarazioni di funzionari della banca centrale vanno proprio in questa direzione.

La presidente della FED di San Francisco, Mary Daly, ha detto che «non siamo vicini al punto di arrivo». Tuttavia, c’è anche chi prende posizioni più moderate. «Se davvero si pensa che le cose non stiano migliorando, 50 punti base sono una valutazione ragionevole, ma anche 75 potrebbero andare bene», ha detto il presidente della FED di Chicago, Charles Evans. Aggiungendo: «Dubito che si possa chiedere di più».