La corda tesa

«Sono come una corda tesa che deve spezzarsi. Ma non è ancora finita… e finirà in modo orribile»

Citazione tratta da Anna Karenina, di Lev Tolstoj

 

I rapporti tra Regno Unito e Unione Europea «sono come una corda tesa che deve spezzarsi». Soprattutto dopo la vittoria alle elezioni d’Oltremanica dell’euroscettico Boris Johnson, che la settimana scorsa si è conquistato la maggioranza dei seggi parlamentari. Ora il premier conservatore vuole procedere rapidamente verso il divorzio da Bruxelles, senza sforare la data limite del 31 dicembre 2020 per trovare un accordo. Anche a costo di chiudere la questione «in modo orribile», ovvero con l’Hard Brexit, l’ipotesi che preoccupa maggiormente i mercati. Dal punto di vista monetario, in tale scenario, la sterlina rischia di rimanere sotto pressione. Sulla questione si è levata la voce di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea: «Se non riusciamo a chiudere l’accordo entro la fine del 2020, ci troveremo in una situazione molto pericolosa, che nuocerà più al Regno Unito che all’UE». E poi ha aggiunto che, a differenza della controparte, «l’Unione potrà continuare a beneficiare del mercato unico, dell’unione doganale, degli accordi internazionali che abbiamo chiuso con i nostri partner».

Dal punto di vista macroeconomico sono arrivati nuovi dati sull’Eurozona. L’Indice IHS Markit PMI composito, secondo la lettura preliminare, a dicembre si è attestato a 50,6 punti, come a novembre. Il dato è leggermente inferiore alle attese che erano pari 50,7 punti. Il PMI manifatturiero, invece, scende a 45,9 punti contro i 46,9 precedenti, restando così in zona contrazione (sotto la soglia dei 50 punti). Il risultato è al di sotto delle previsioni degli analisti, i quali avevano stimato un miglioramento a 47,3 punti.

Chris Williamson, Chief Business Economist presso IHS Markit, ha così analizzato i dati: «L’economia dell’Eurozona conclude il 2019 impantanata nel periodo peggiore dal 2013, con le imprese che fanno fronte alle difficoltà di una domanda quasi stagnante e alle negative prospettive per l’anno prossimo».

Nel frattempo, gli stimoli monetari sono stati confermati dalla Banca Centrale Europea. L’istituto ha mantenuto a zero il principale tasso di interesse, a -0,50% il tasso sui depositi e allo 0,25% il tasso sulle operazioni marginali. Tali soglie sono destinate a rimanere invariate o, forse, addirittura abbassate, fino a quando l’Eurotower non vedrà l’inflazione stabilizzarsi saldamente al 2% o a un livello poco inferiore.

Sotto i riflettori dei mercati, oltre alle politiche monetarie, c’è anche la fusione tra FCA e PSA (a cui appartengono marchi automobilistici come Peugeot e Citroën). Le due società hanno dato questa settimana l’annuncio ufficiale: dalle loro nozze nascerà un colosso che in Europa sarà secondo solo alla Volkswagen, nonché quarto nella classifica mondiale dei produttori (terzo se si guarda al fatturato). L’operazione dovrebbe concludersi nel giro di 12-15 mesi. La nuova sede del gruppo che verrà a crearsi sarà in Olanda, ed è stata confermata la tripla quotazione su Euronext a Parigi, Borsa Italiana a Milano, e New York Stock Exchange. Dal punto di vista economico, la futura società avrà ricavi per circa 170 miliardi di euro. FCA e PSA, infine, ribadiscono il proprio impegno a non chiudere stabilimenti, pur ricercando risparmi e sinergie importanti.

Negli USA l’attenzione è rivolta al presidente, Donald Trump. La Camera dei rappresentanti ha infatti votato a favore dei due capi d’accusa per l’impeachment (abuso di potere e intralcio al Congresso). Ora tocca al Senato, dove i repubblicani hanno la maggioranza e Trump potrebbe essere scagionato. Gli operatori, comunque, guardano con attenzione anche agli sviluppi sul fronte della disputa commerciale tra Stati Uniti e Cina. Le due superpotenze hanno raggiunto un’intesa sul testo per l’accordo di fase uno. È così stata disinnescata l’introduzione di nuove tariffe da ambo le parti. Tuttavia, Trump, ha precisato che gli attuali dazi al 25% su 250 miliardi di dollari di importazioni cinesi «rimarranno come sono», mentre altri verranno ridotti al 7,5%. Certo non è ancora finita, ma almeno sembra che non finirà in modo orribile.