Il giuoco delle perle di vetro

Oggi parliamo di personalità importanti solo quando incontriamo uomini che, al di là di ogni originalità e stranezza, sono riusciti a inserirsi in maniera possibilmente perfetta nell’universale e a servire nel modo migliore ciò che sta al di sopra della personalità.” 

Non sapevano, invece, che questo ordinamento delle cose non è affatto ovvio, che la storia universale non aspira, tutto sommato, a ciò che è desiderabile, bello e ragionevole, ma tutt’al più lo tollera come eccezione. 

“La verità si vive, non s’insegna”.  Tratto da “Il giuoco delle perle di vetro” di Herman Hesse.

 

Il giuoco delle perle di vetro fu l’ultima opera dello scrittore tedesco, Herman Hesse, che contribuì a regalargli il premio nobel. Il romanzo tratta di un ordine composto di soli intellettuali e collocato nell’immaginaria regione di “Castalia”. Questa regno è abitato da una comunità eterea, utopistica, dedicata alla pura ricerca della conoscenza intellettuale. È protetta da mura che la isolano dal mondo esterno, in cui si intuisce che la vita delle persone sia ancora afflitta dai problemi della vita quotidiana.

La Germania sembra seguire il destino di Castalia, dalle incontaminate virtù teutoniche, dalle solidità dei governi, impermeabili ai vizi europei di democrazie fragili, il bastione di Angela è crollato. Anche il presidente tedesco, Frank Walter Steinmeier, non riesce a crederci. Richiama i partiti all’ordine, ricorda che negli ultimi 70 anni, la Germania non ha mostrato uno spettacolo simile.

Ora tutti corrono a contare gli errori di Angela Merkel, dal ricandidarsi per la quarta volta, un numero giudicato eccessivo per qualsiasi Paese democratico, all’incertezza sull’immigrazione, all’appoggio per David Cameron, agli sbagli sulla politica energetica che non aiuterà il Paese a centrare gli obiettivi del taglio del 40% delle emissione nel 2020, fino al Diesel gate. Il risultato è quello che l’onda xenofoba che sembrava arretrata in Europa con l’elezione in Francia di Emmanuel Macron, ora rialza la testa.

Quell’ordinamento perfetto del Paese leader della stabilità e dell’economia europea, traballa. Ora anche Berlino potrebbe impiegare circa sei mesi a formare un governo, come successo in Olanda, Belgio e Spagna. Il perfetto giuoco delle perle di vetro sembra perdere il suo equilibrio eppure l’Unione europea si affida ancora una volta alle biglie. O forse meglio alla monetina quella Unica, per scegliere a chi assegnare l’Eba e l’Ema. Più che una vittoria è una sconfitta delle capacità decisionali di questa élite europea in un momento in cui sembrava che la risposta al populismo sarebbe stata un’Europa più solida e decisionista.

I mercati, però sono pazienti, aspettano. I dati macro sono sopra le attese, l’inflazione è la grande assente. Ora, che anche il prezzo del petrolio è rientrato nei ranghi, non c’è nulla da temere.

Anzi qualcuno legge la debolezza tedesca come un’occasione per i Paesi periferici, ovvero meno rigidità. Anche Berlino, si scopre fragile. Non bisogna dimenticare che tra pochi mesi l’Italia, sarà chiamata alle urne. Ma almeno, in questo caso, le aspettative sono più basse che mai, quindi sarà più facile stupire gli investitori che deluderli.

 

I mercati hanno una loro, inequivocabile misura della stabilità: l’andamento dei tassi di interesse. Quello sul Bund è più ferreo che mai.

Anche gli spread dei Paesi periferici sono inossidabili. Lo spread italiano è decisamente sotto il 2%, ottima stabilità anche per Parigi e Madrid. Dunque i politici possono prendersi tutto il tempo che vogliono.

Ad essere proprio pessimisti, l’unico segnale di debolezza si avverte sul fronte euro. Ma un calo della moneta unica sarebbe solo favorevole alle esportazioni.

Dall’altra parte dell’Atlantico, non ci sono grandi novità se non che Wall Street corre e aggiorna nuovi record, incurante di tutto. La riforma fiscale di Trump è attesa al Senato dove il presidente conta appena due voti di scarto. Non sarà facile, eppure per questa amministrazione è l’ultima chance per far approvare almeno un punto promesso durante la campagna elettorale. Trump si giocherà quasi tutto.

Ora, al di là dei tentativi utopistici di raccontare un regno perfetto, Herman Hesse scrive che la verità si vive e non si insegna. A noi gestori non serve ipotizzare mondi perfetti, stabilità politica ed economica senza fine. Un Paese che si erge leader e insegna la via agli altri. Ogni Paese, ogni mercato, ogni azienda o titolo in Borsa ha la sua via, il suo management e le sue strategie per risultare vincente. Mischiarle a piacere non serve a molto. E’ necessario il lavoro di un sarto che costruisce ogni volta su misura il vestito giusto. Il resto è solo un gioco di perle. I mercati ci stanno dando dei segnali, appaiono più cauti, ma sempre ottimisti. Ci dicono di guardare alla realtà non agli schemi preconfezionati. “Questo ordine delle cose non è affatto ovvio”, potrebbe cambiare e dunque il portafoglio deve essere leggero abbastanza per cogliere nuove occasioni, senza affezionarsi troppo o lasciarsi incantare dai riflessi evanescenti delle perle di vetro.