Il deserto dei Tartari

“Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, il mondo ristagnava in una orizzontale apatia e gli orologi correvano inutilmente. La strada di Drogo era finita; eccolo ora sulla solitaria riva di un mare grigio e uniforme. […]Ma a un certo  punto, istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa tempo a fissarlo che già precipita verso il fiume dell’orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l’una sull’altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire.

Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l’orizzonte con sorrisi d’intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e tenere desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo…” tratto da Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati

Le Borsa Usa sono congelate sui massimi, Francoforte anche, bene Parigi mentre rimangono più arretrate,  ma ben intonate, le altre colleghe europee. Il Vix, l’indice della paura che misura la volatilità dei mercati e schizza verso l’alto in caso di forti tensioni, è lì pacifico: sui minimi. Il crollo dei tech non c’è stato. I petroliferi tengono. I mercati, quelli azionari, paiono ovattati in un gel in grado di assorbire ogni colpo. I capricci della Corea del Nord che tengono banco sui giornali, lasciano indifferenti gli investitori. Il Russiagate o meglio, la telenovela tale padre tale figlio, è solo colore per i mercati. Niente li può scalfire ma neppure niente sembra in grado di fornirgli benzina per proseguire il rally. Un  immobilismo glaciale, di freddo calcolo, che solo gli investitori più scaltri sono in grado di reggere. Si aspettano novità in grado di scuotere  i mercati. Ma nulla. Pare di essere tutti protagonisti del libro di Buzzati, tutti dei Giovanni Drogo, intrappolati nella Fortezza Bastaini ad aspettare di diventare eroi cavalcando i  nuovi trend che scuotono abitualmente i mercati. Ma niente in arrivo: bonaccia.

Complice di questa situazione di ottimistica incertezza sono le banche centrali, in grado di ovattare lo scenario rassicurando i mercati. A sostenere lo status quo, sono state questa settimana, le dichiarazioni della presidente della Fed, Janet Yellen, che parlando davanti alla Commissione Banche del Congresso ha detto che l’economia Usa è abbastanza in salute per assorbire ulteriori graduali rialzi dei tassi e per smobilizzare lentamente il portafoglio obbligazionario accumulato durante la crisi finanziaria.
D’altra parte però, ha sottolineato la numero uno dell’istituto centrale Usa, i tassi d’interesse stanno già salendo e, per come stanno le cose, “non devono salire ancora molto” per raggiungere quello che Federal Reserve ritiene un livello di equilibrio.  Riassumendo la Fed terrà sempre i tassi un gradino al di sotto del livello raggiunto nelle precedenti fasi di espansione economica, per tenere conto delle debolezze dell’attuale ripresa. Come a dire che la politica monetaria sarà ancora espansiva.Meglio di così non poteva andare normalizzazione ed espansione. Buone notizie ma i mercati già scontano il meglio.

Se da un lato,  gli indici azionari paiono congelati, lo stesso non può dirsi per valute, obbligazioni e tassi di cambio. La correlazione tra bond e azioni pare essersi rotta ormai da anni. Anche gli spread non sembrano misurare più il reale rischio Paese.

Sul fronte dei cambi, l’euro si è spinto fino al top di 1,1489 dollari che non vedeva dal maggio del 2016. La moneta unica ha poi ritracciato a 1,1422 dollari. L’euro recupera terreno su tutte le altre principali valute mostrando le altrui debolezze. Le trattative sulla Brexit proseguono a indebolire la sterlina, che dopo quattro sedute di fila in calo si è portata sui minimi dello scorso novembre. L’euro si rafforza anche sul super franco  svizzero.

 

La forza dell’Europa si misura anche dall’andamento degli spread. Il differenziale di rendimento tra il benchmark decennale italiano  e il pari scadenza tedesco veleggia sui  167 punti base, con cali in una seduta anche di 10 punti. Scende anche il rendimento del decennale italiano, al 2,26 per cento. Più vicini sono gli spread e più unita appare l’Europa. Prosegue intanto la normalizzazione del Bund con un rendimento che punta a rompere la soglia degli 0,6%. Dopo valute e bond a riscaldare i mercati è il rimbalzo del greggio. L’Oil continua a confermare la sua banda di oscillazione tra 45 e 55 dollari al barile, tanto da sembrare abilmente manovrato. Il rialzo  del greggio questa settimana ha  sostenendo il rimbalzo dei titoli oil.

Ora possiamo rinchiuderci in una nostra fortezza, continuare ad insistere sui mercati azionari, troppo cari per correre ancora ma non abbastanza da  sgonfiarsi aspettando l’occasione per diventare eroi. Oppure possiamo uscire dalla nostre certezze e  puntare su nuovi mercati. L’India è ai massimi. Valute e obbligazioni  sono molto vivaci.  I tech non sono solo in Usa e il graduale rialzo dei tassi aiuta gli assicurativi, che dopo anni di tassi zero appaiono un terreno fertile dove non si coltiva da tempo.