Il Castello

“Uno dei principi che regolano il lavoro dell’amministrazione è che non si deve mai contemplare la possibilità di uno sbaglio. […] Errori non se ne commettono e, anche se ciò per eccezione accade, come nel suo caso, chi può dire alla fin fine che sia davvero un errore?

Gli uomini diventano cattivi e colpevoli perché parlano e agiscono senza figurarsi l’effetto delle loro parole e delle loro azioni. Sono sonnambuli, non malvagi.

 

Il Castello ha molti ingressi. Ora è in voga l’uno, e tutti passano di lì, ora l’altro, e il primo è disertato. Secondo quali regole avvengano questi cambiamenti non s’è ancora potuto scoprire.

 

Lascia dormire il futuro come si merita. Se lo si sveglia prima del tempo, si ottiene un presente assonnato…” tratto da Il Castello di Franz Kafka.

 

Per essere più forte, l’Unione Europea sta chiedendo ai suoi Stati di rinunciare, in parte, ma solo in parte, alla sovranità nazionale. E’ il progetto proposto da Emmanuel Macron, la risposta ai populismi. E’ abbracciato anche da Angela Merkel e addirittura dai suoi nuovi compagni Liberali. Lo desidera anche qualche governo dei Paesi periferici, per accelerare il processo di riforme senza prendersi le responsabilità del cambiamento. Ora, se si diminuisce il potere delle singole nazioni, promettendo un contenitore unico più grande, non deve stupire che qualche indipendentista locale sogni una posizione in Europa, con meno vincoli nazionali. L’uno non è in contrasto con l’altro, è solo troppo presto. “Lascia dormire il futuro come si merita. Se lo si sveglia prima del tempo, si ottiene un presente assonato”.

La risposta dell’Unione Europea è assonata ma ben calcolata. Non si vuole prendere nessuna responsabilità sull’esito del referendum catalano, non vuole entrare in conflitto con Madrid. Bisogna prendere tempo. L’unica via è aprire un tavolo, concedere qualcosa oggi e rimandare in futuro scelte più importanti. Si tratta di Catalexit, non un’uscita della regione che non vuole nessuno, Ue, Madrid o Barcellona, ma una catalessi comandata, gestita lentamente. Bisogna agire senza fretta sfruttando il pantano burocratico su cui il Castello, come la Ue, si articola, ricordando che questa struttura ha molti ingressi, uscire da una porta non significa necessariamente non rientrare da un’altra.

Per Kafka più che malvagi, gli uomini sono sonnambuli. Le violenze di Madrid sul voto catalano indicano la visione limitata del governo. Ma tutti vogliono trattare, sanno che esistono diversi assetti istituzionali in grado di dare ai catalani maggiori libertà senza arrivare a uno strappo.

Anche i mercati lo sanno bene, non sono spaventati. In realtà è una vittoria. Gestire una richiesta di separazione con un referendum e violenze contenute è un successo rispetto a precedenti storici molto più burrascosi.

Il referendum catalano non spaventa i mercati. Wall Street e Francoforte hanno aggiornato, ancora una volta, i record. Tokio, insieme a Hong Kong, sono sui top degli ultimi due anni. I mercati sono concentrati sugli ottimi dati macro.  Le condizioni dell’industria manifatturiera degli Stati Uniti sono più che floride: l’indice ISM sulle aspettative dei direttori degli acquisti delle aziende industriali è salito a settembre a 60,8 punti, massimo dal 2004. L’incremento è superiore alle aspettative. L’indice nipponico Tankan, relativo alle grandi aziende manifatturiere, è ai massimi da un decennio, il PMI manifatturiero cinese ai top da 5 anni.

Più che le cronache catalane, agli investitori interessano quelle sul possibile successore di Janet Yellen alla guida della Fed. Trump avrebbe avviato i contatti per trovare un presidente più deciso sul rialzo dei tassi.  Negli Usa, i rendimenti dei bond governativi stanno registrando un generalizzato rialzo su tutta la curva. Anche dall’altra sponda dell’Oceano gli spread si sono allargati. Sul fronte fiscale si attende la riforma promessa da Trump. Questi elementi insieme si traducono con un euro un po’ più debole e un dollaro che si rafforza nei confronti di tutte le maggiori valute internazionali.

Sullo sfondo perde forza il greggio. E’ matematico ormai: tutte le volte che ci si avvicina alla fatidica soglia dei 60 dollari, indicata come livello di pareggio per molti campi di shale gas, le trivelle Usa riprendono a girare.

Politica o non politica, i mercati rimangono fedeli alle proprie leggi. I dati macro valgono di più di qualunque referendum. I mercati dei bond hanno intrapreso la via delle normalizzazione, senza aspettare il nuovo presidente della Fed, gli spread dovranno tornare a riflettere il rischio paese. Opec o no, anche il prezzo del greggio risponde al solito equilibrio tra domanda e offerta.

Le stesse regole valgono per i portafogli: è inutile anticipare troppo i tempi, si rischia di rimanere vincolati in posizioni immobili, assonate. Bisogna avere il coraggio di rimanere fermi per goderci il presente, con Borse che ogni settimana aggiornano i record. Non sbilanciamoci troppo a interpretare il futuro. La soluzione catalana non verrà domani e nemmeno un immediato rialzo dei tassi o del greggio.

L’intuizione di Kafka vale anche per una corretta gestione: Lascia dormire il futuro come si merita. Se lo si sveglia prima del tempo, si ottiene un presente assonnato.