I dialoghi

“Colui che desidera assicurare il bene di altri si è già assicurato il proprio.”

“Troppa debolezza o troppa violenza nuocciono: bisogna congiungere fermezza alla moderazione.”

“Se pensi in termini di anni, pianta il riso.
Se pensi in termini di decenni, pianta alberi.
Se pensi in termini di centinaia di anni, insegna alla gente.”

 

“Non mettetevi a discutere con un pazzo! Chi vi guarda non distinguerebbe l’uno dall’altro.”

 

“Ho imparato che la calma è molto più destabilizzante della rabbia, che un sorriso disarma molto più di un volto corrugato, ho imparato che il silenzio di fronte ad un’offesa è un grido che fa tremare la terra. Ho imparato che un amore rifiutato non si perde ma torna intatto a colui che voleva donarlo.”

“Non usare arco e freccia per uccidere una zanzara.”

Tratto da “I dialoghi” di Confucio.

I Dialoghi sono una raccolta di pensieri e di frammenti di conversazioni del pensatore e filosofo cinese Confucio con i suoi discepoli. Il titolo cinese significa letteralmente “discussione sulle parole [di Confucio]”. I Dialoghi sono considerati tra le opere più rappresentative del pensiero confuciano ed hanno tuttora una grande influenza sulla cultura cinese e dell’Asia orientale.

Chissà se anche Xi Jinping abbia appena riletto I Dialoghi di Confucio per misurare la propria risposta ai dazi Usa. Confucio sembra suggerire una risposta che non sia troppo debole ma nemmeno eccessiva, quasi delicata, con l’obiettivo unico di tenere aperta la porta al “Dialogo”. Ovvero proprio ciò che non sta succedendo oggi tra Stati Uniti e Cina.

Bisogna capire bene qual è l’obiettivo di Xi Jinping. Sta pensando a coltivare la pianta riso, (in termini di anni)? Punta a far crescere alberi? Oppure va oltre alla sua esistenza e, come la maggior parte dei leader cinesi, coltiva un sogno, di più lungo termine che è quello di far diventare il Paese della Grande muraglia la prima superpotenza mondiale?

Non rispondere ai dazi Usa, sarebbe un segnale di debolezza. Ribattere in maniera irruenta, creerebbe un’escalation. Una risposta misurata, colpire per far comprendere alla controparte la propria potenza di fuoco ma senza ferire.

Prima La Cina annuncia dazi su 128 prodotti, tra carne di maiale e frutta, per 6 miliardi contro i 50 degli Usa. Poi l’attesa. La palla ripassa a Trump che conferma i 50 miliardi iniziali. Tocca alla risposta cinese, che non si fa attendere. 50 miliardi contro 50 miliardi di dazi del 25% su 106 prodotti Usa, inclusi soia, aerei, automobili e prodotti chimici. È la rappresaglia che il Corporate America temeva: l’anno scorso gli Usa hanno esportato in Cina 12,3 miliardi di dollari di soia, 16,3 miliardi nell’aviazione civile e 10,5 miliardi nel settore auto. I balzelli colpiranno in tutto 50 miliardi di dollari di esportazioni americane, vale a dire oltre un terzo di quello che la Cina importa dalla prima economia al mondo (130 miliardi di dollari nel 2017). La loro entrata in vigore, fa sapere il Governo cinese, è legata a quella dei dazi Usa.

“Abbiamo dichiarato che non inizieremo una guerra commerciale, ma non ne abbiamo paura”, ha affermato un portavoce del ministero degli Esteri cinese. Il viceministro al Commercio Zhu Guangyao ha sottolineato che le dispute commerciali vanno risolte attraverso il dialogo e che la risposta cinese era «obbligata».

Le misure Usa scatteranno soltanto al termine di un periodo di consultazioni pubbliche, che durerà almeno fino al 22 maggio e che prevede un’audizione organizzata dall’Ufficio del Rappresentante Commerciale della Casa Bianca il 15 maggio. Insomma, dopo l’alzata di toni, ora arriva il tempo delle diplomazie, al lavoro sotto traccia, per trovare un compromesso tra le parti.

I mercati però non amano le incertezze, i toni alti, e soprattutto le barriere. La liquidità deve fluire, non importa dove, Cina o Usa, basta che irrighi e porti frutto. Il corporate Usa lo ha capito da tempo, producendo in massa in Cina: un terzo del fatturato di Gm viene dal Paese di Xi Jinping, dove sono attivi il doppio di iPhone rispetto agli Usa, dove Mcdonald’s genera più fatturato che in patria.

In Borsa non esistono schemi precostituiti e la minaccia dazi sui beni agricoli Usa, sta mettendo sotto pressione i produttori di macchinari agricoli, le commodity. Solo pochi giorni fa si temeva più per i tech.  Le previsioni non sono né facili né scontate. La volatilità aumenta. Si rispolverano i beni rifugio: oro e yen. I cambi non seguono più con assoluta frenesia ogni battuta dei rappresentanti delle banche centrali, ora allargano l’orizzonte alla politica nel suo complesso.  I tassi di interesse rimangono calmi, troppo presto per prendere posizione.  Sul fronte dell’azionariato, tutto è molto più precario. Un dazio rispetto a un altro può cambiare, e molto, i futuri numeri di una società. Nonostante questo la quotazione di Spotify supera la tempesta dei tech e si afferma con una capitalizzazione di 30 miliardi di dollari. Ora si aspettano le Ipo di Uber e Airbnb.

Bisogna restare calmi, bisogna selezionare con cura le società che sono in grado di essere fluide e poter reagire in maniera rapida ai cambiamenti imposti dall’esterno e dalla politica internazionale. Nei nostri portafogli si pianta riso, si piantano alberi e non si smette mai di imparare dai mercati.