Guerra fredda

“A dispetto del nome, la Guerra Fredda fu un lungo periodo di pace e stabilità per l’Europa. Pur se costellati da momenti di grande tensione, i decenni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale furono caratterizzati dalla fermezza con cui le due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, seppero frenare le forze che al loro interno premevano per lo scontro, ben consapevoli che lo scoppio di una guerra nucleare avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutti. Con la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell’Urss, i confini dell’ex Impero sovietico divennero nuovamente contesi, rinacquero antichi nazionalismi, scoppiarono numerose guerre: in Cecenia, nel Caucaso e nella ex Jugoslavia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, pensarono di avere vinto la Guerra Fredda, ma oggi emergono chiari i limiti della superpotenza americana e le conseguenze del suo avventurismo: rivoluzioni sfuggite di mano, guerriglie fomentate dal fanatismo religioso, contrasti sempre più accesi con la Russia. Ma la fine della Guerra Fredda, e i conflitti del dopoguerra, hanno avuto come effetto soprattutto il sorgere dei “non Stati” – Isis, Gaza, Kurdistan iracheno, Bosnia, Kosovo, Siria, Libia – con le grandi incognite che ne derivano: come si combatte contro un “non Stato”? Come lo si governa? E come si può ricostruire l’ordine perduto

Tratto da “In lode alla guerra fredda” di Sergio Romano.

 

Guerra fredda, anzi ghiacciata con la tensione alle stelle. I fronti aperti dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si moltiplicano.

Solo contro tutti. Non bastavano la Cina, l’Europa, il Canada e il Messico. Sale la tensione anche con la Russia, non si tratta di espellere qualche diplomatico russo, si temono rappresaglie dal Cremlino con il conseguente embargo occidentale. Un film già visto, con gli Usa che hanno chiesto lo stop ai rapporti commerciali contro la Russia a seguito dell’invasione in Ucraina. Angela Merkel, allora, costrinse Obama a togliere il divieto all’export Usa di shale gas. Le conseguenze sul prezzo del greggio le abbiamo viste tutti.

Le tensioni diplomatiche sfociano sempre in conseguenze economiche, il problema è che predire prima, quali saranno è quasi impossibile e, come è noto, ai mercati non piacciono le incertezze.

Il fronte russo, più per il suo peso economico, è quello che preoccupa di meno. La Guerra Fredda oggi si gioca sempre fra due superpotenze, ma stavolta l’alter ego degli Stati Uniti è la Cina, rea di godere di un surplus commerciale con il Paese a stelle e strisce di 375 miliardi di dollari. Ieri a distendere la situazione ci ha provato il premier cinese Li Keqiang: ha affermato che Cina e Stati Uniti sono sufficientemente intelligenti per riuscire a trovare una soluzione ai loro problemi commerciali. Il Wall Street Journal scrive che la Cina sta trattando una serie di aperture alle aziende degli Stati Uniti che vogliono entrare nel suo mercato.

Sta emergendo in modo sempre più chiaro che gli annunci della scorsa settimana, capaci di far perdere la testa alle Borse ed ai mercati, erano colpi a salve della Casa Bianca, per costringere Pechino ad intavolare un negoziato. La Cina, del resto, ha tenuto un profilo molto basso, limitandosi ad annunciare possibili ritorsioni su ambiti commerciali non primari, per esempio ha lasciato fuori la soia, un prodotto molto importante per gli stati più a favore di Donald Trump.

Guerra di nervi e messaggi di apertura. La Cina è un’esperta giocatrice a scacchi. Ma anche Trump si è rivelato più astuto di quanti molti lo dipingessero. Sa bene che partendo da un forte svantaggio commerciale può solo migliorare la sua situazione nel breve. Ad oggi ha alzato i toni, ha minacciato dazi dal valore di 60 miliardi di dollari su 1.300 prodotti cinesi.

Queste però sono solo parole, che portano tutti ad aprire una porta, avviare una discussione; meglio per gli Usa che siano trattative bilaterali, senza l’intervento del Wto. Usa contro ogni singolo Stato, è il gioco di Trump.

Le controparti non stanno a guardare. La Cina non alza i toni ma manda chiari messaggi. Organizza un viaggio a sorpresa a Pechino per Kim Jong, dittatore Nord Coreano. Fa quasi tenerezza, è la sua prima e unica trasferta all’infuori dal suo Paese. Chissà se vedere qualcosa di diverso gli farà bene. Finora l’incontro tra Cina e Corea del Nord ottiene tre vittorie: maggior potere negoziale, Xi Jinping afferma la centralità cinese, la guerra si allontana.

Ma i mercati sono nervosi: troppo carbone sul fuoco. Sullo sfondo vi è il rialzo dei tassi della Fed, lo tsunami su Facebook (-22% in una settimana) che contagia i tech, petrolio sui top di periodo. Oro che testa la resistenza si 1360 dollari e Bund sui massimi dell’anno.

Ora Usa e Cina sono Paesi intelligenti, consapevoli che le guerre non si combattono più coi soldati ma con lo sviluppo economico. Vedi Russia e Usa. Se guerra deve essere, è sempre meglio fredda. Solo che la Cina non è paragonabile alla Russia comunista. La guerra fredda si combatte coi nervi e i capitali. Vale anche per noi gestori: non si combatte in prima linea, ma non ci si lascia andare agli isterismi; al contrario, forti correzioni sono ottime occasioni di acquisto. Raffreddare i portafogli per non trovarsi troppo esposti sui fronti caldi. Lontano dai dazi ma vicino alle aziende che creano valore senza temere i tech nonostante la correzione.