Guerra e Pace

“Per noi posteri, che non siamo storici e del pari non siamo condizionati dal gusto della ricerca e perciò contempliamo l’avvenimento con serenità di giudizio, le sue cause [della guerra] ci si prospettano diverse e copiose. Quanto più ci inoltriamo nella ricerca delle cause, tante più ne scopriamo. E ogni causa considerata separatamente, o anche un’intera serie di cause ci appaiono giuste di per se stesse e del pari false per la loro inconsistenza, se raffrontate all’immensità dell’avvenimento…

Senza una sola di queste cause non sarebbe potuto accadere nulla. Dunque tutte queste cause – miliardi di cause – hanno agito in concomitanza per dar luogo a ciò che accadde. Di conseguenza, nulla fu causa isolata ed esclusiva dell’evento, ma l’evento dovette verificarsi semplicemente perché doveva verificarsi. Milioni di uomini, rinunciando ai loro sentimenti umani e alla loro umana ragione, dovevano andare da occidente a oriente e uccidere i loro simili, così come secoli prima altre folle di uomini erano andati da oriente a occidente per agire all’identico modo”, tratto da Guerra e Pace di Lev Tolstoj.

Viviamo nel periodo storico più lungo senza mai aver conosciuto una guerra. O forse la guerra e la pace hanno assunto forme diverse. Le tensioni tra Corea del Nord e Usa appaiono scaramucce se paragonate ad altri tempi. Donald Trump alza la voce contro un Paese i cui danni maggiori li potrà fare solo lontano dagli Usa. Questo non vuol dire sottovalutare Pyongyang ma i suoi effetti all’economia americana sono limitati. Alcuni critici pensano che la Corea del Nord sia solo una scusa per tenere alta la tensione con la Cina. E’ stata proprio la decisione di Pechino di fermare tutte le importazioni dalla Corea del Nord a frenare le mire di Kim Jong-un. L’anno scorso, la Cina ha assicurato a Pyongyang 1,2 miliardi di dollari per l’acquisto di carbone, 74,4 milioni per il ferro (da gennaio a maggio), 46,7 milioni per pesce e frutti di mare a giugno. Ma il vero colpo potrebbe essere uno stop alle forniture di energia alla Corea del Nord. Trump aveva dichiarato che Pechino non era in grado “di convincere né gli Usa né la Corea del Nord a fare un passo indietro” e aveva minacciato la Cina di far rispettare le leggi sulla proprietà intellettuale. Nel 2016 l’interscambio commerciale tra gli Usa e Pechino è stato pari a 579 miliardi di dollari con un disavanzo per l’America di 347 miliardi di dollari. Non si parla né di guerra, né di pace ma di miliardi. La leva non sono le milizie ma minori o maggiori guadagni.

Alcuni analisti leggono i mercati come territorio di guerra. Società che ne conquistano altre, rubano quote di mercato, investono per primeggiare. In mezzo ci sono azionisti: soldati per l’uno o l’altro esercito ma che, a differenza dei soldati di un tempo, sono liberi di scegliere puntando sul loro profitto personale, mercenari.

A Bruxelles, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Junker sta studiando mosse anti-scalata, in particolare per bloccare l’avanzata cinese. Nel 2016 gli investimenti diretti della Cina in Europa sarebbe aumentati di due terzi rispetto all’anno precedente portandosi a 35 miliardi. Il timore è che i brevetti Ue di aziende private passino ad aziende pubbliche cinesi con la conseguente riduzione di posti di lavoro. Ora Europa e Usa potrebbero trovarsi unite nel difendere, dicono i rumors, l’italiana o meglio l’americana, Fiat Chrysler. Forse si tratta di tattiche di guerra, FCA sbandiera un interesse cinese per finire sposa a GM. Ma sempre di conquiste si parla.

Sul mercato, quello reale, anche Apple sta combattendo diverse battaglie con la Cina. L’ultima è quella per aggiudicarsi una fetta degli 8,8 mila miliardi di dollari di transazioni monetarie via cellulare in Cina, primo Paese al mondo per i pagamenti con il telefonino. La Cina impone che le transazioni avvengano tramite proprie app, WeChat Pay del colosso Tencent o AliPay di Alibaba. Apple non ci sta e si limita a solo l’1% di quota di mercato.  Google con Android si è piegata ma si sta espandendo.

Da tempo il governo cinese è consapevole che l’Occidente non resterà a guardare e prova a cambiare le regole in casa. Ma non è facile per chi non ha una cultura di capitalismo alle spalle.

In Guerra e Pace, Tolstoy descrive con sapienza la condizione del soldato che non sceglie e si trova a suo malgrado essere attore non protagonista delle guerra volute dai potenti. I tempi sono cambiati, in Borsa rimaniamo soldati ma possiamo scegliere a che guerra partecipare. Quella delle valute con l’euro in ripresa mentre la Fed, dopo i buoni dati macro, si appresta a rialzare i tassi. Quella dei bond con valori sui massimi, gonfiati dal QE (il presidente della Bce, Mario Draghi, ha rimandato ogni discussione a ottobre). Oppure quella dell’M&A. Qui le scorribande promettono di essere interessanti con l’economia europea (PIL a +2,2% nel secondo trimestre), quella giapponese (+4%) e quella Usa (+2,6%) che hanno ripreso a correre. L’Europa punta ad amalgamarsi sempre più seguendo la cura Merkel-Macron, la Cina ad uscire dal suo isolazionismo. Gli Usa vorranno sempre essere i conquistatori del mondo. E’ il momento di uscire dalle trincee e puntare la propria fiche.