Future Mirror – L’open banking attraverso il caso TrueLayer

L’open banking rivoluzionerà l’ecosistema bancario? I segnali, tra cui il caso TrueLayer, lasciano intravedere – con tutti i caveat del caso – una risposta positiva. Ma facciamo un passo indietro: che cos’è l’open banking? Sostanzialmente, si tratta della possibilità di condivisione dei dati tra i diversi attori dell’universo bancario, autorizzata dai clienti stessi. In pratica, gli istituti potrebbero o dovrebbero (a seconda delle legislazioni vigenti nei rispettivi Paesi) aprire le proprie API (Application Program Interface) a società del fintech e altre aziende che si occupano di prodotti e servizi finanziari. I soggetti esterni, le cosiddette terze parti, avrebbero quindi accesso ai dati di pagamento, grazie ai quali potrebbero sviluppare nuove soluzioni ad hoc per i clienti.

Le banche tradizionali, se vogliono mantenere il proprio status quo e si rifiutano di innovare, rischiano di subire uno svantaggio competitivo dall’open banking. Ma le altre, quelle che hanno intrapreso o stanno intraprendendo un cammino di innovazione, potrebbero invece ricavarne nuove opportunità.

Torniamo così sul caso TrueLayer. La startup londinese, che fornisce tecnologia agli sviluppatori per abilitare una gamma di servizi basati sull’open banking, ha recentemente annunciato di aver raccolto 130 milioni di dollari in un round di finanziamento con una valutazione societaria di oltre 1 miliardo di dollari. Fatto concreto che dimostra il chiaro interesse degli investitori verso questo settore.

TrueLayer – che attualmente offre servizi di pagamento e di raccolta e verifica dati utente – ha affermato di avere circa 10.000 sviluppatori che stanno costruendo nuove soluzioni basate su standard di open banking.

«Avevamo una visione per cui la finanza dovesse essere aperta e stiamo lavorando attivamente per rimuovere gli attriti che esistono tra gli intermediari». È quanto affermato, come riportato da Techcrunch, dall’amministratore delegato Francesco Simoneschi, che ha co-fondato l’azienda con Luca Martinetti (che ora è il CTO). «Vogliamo un sistema finanziario che funzioni per tutti, ma finora non è stato così. L’opportunità è emersa cinque anni fa, quando l’open banking è entrato in vigore nel Regno Unito e poi altrove, per superare l’oligopolio più impressionante: le reti di carte e tutto ciò che ruota intorno ad esse. Ora, possiamo facilmente dire che l’open banking sta diventando una valida alternativa a tutto ciò».

Nel mondo, ad oggi, la stragrande maggioranza delle transazioni avviene ancora per mezzo delle tradizionali infrastrutture di pagamento bancario, ma l’open banking potrebbe portare all’edificazione di un nuovo sistema, potenzialmente più efficiente e che potrebbe comportare commissioni inferiori (o nulle) per gli utenti. Tutto ciò tramite l’apertura delle API, un ambito in cui TrueLayer è considerata pioniera.

Con i fondi raccolti dal round, guidato dal gruppo americano d’investimenti Tiger Global Management, la startup londinese punta a potenziare lo sviluppo di nuovi servizi, a estendere la sua rete di pagamenti a più regioni (con più banche che si integreranno nella sua rete), nonché ad ampliare la base clienti che utilizza servizi bancari aperti per transazioni regolari e ricorrenti.

«Il passaggio verso metodi di pagamento alternativi sta accelerando con la crescita globale del commercio online, e riteniamo che TrueLayer svolgerà un ruolo centrale nel rendere questi metodi di pagamento più accessibili», ha detto Alex Cook, partner di Tiger Global. Sottolineando che «siamo entusiasti di collaborare con Francesco, Luca e il team TrueLayer, poiché aiutano i clienti ad aumentare le conversioni e continuano a far crescere la rete».

Anche l’Unione europea si sta interrogando sul futuro dell’open banking e ha già emanato un pacchetto di norme ad hoc. Tuttavia, uno studio condotto da Tink, piattaforma leader nel settore a livello continentale, indica che serviranno molti anni per compiere il percorso di conversione. Considerando un campione di oltre 300 dirigenti finanziari da 12 Paesi Ue, il 40% degli intervistati ha detto che la propria organizzazione impiegherà dai 5 ai 10 anni per realizzare i propri obiettivi di open banking, e un ulteriore 37% ritiene che ci potrebbe volere più di un decennio.