Future Mirror – Investitori contrarian al servizio dell’innovazione

La strategia contrarian può sostenere l’innovazione? C’è chi pensa di sì. Ma facciamo una premessa sull’investitore contrarian, ossia colui che consapevolmente compie scelte di investimento contrarie all’andamento di mercato. Semplificando: quando tutti vendono, lui compra, quando tutti comprano, lui vende.

Perché lo fa? L’investitore contrarian pensa che il mercato non sempre agisca in maniera razionale, anteponendo talvolta fattori emotivi di breve termine a una esatta analisi dello strumento finanziario nel quale si investe (o disinveste). Tra i più noti personaggi di tendenza contrarian c’è, per esempio, il miliardario americano Warren Buffett, che ragiona sempre in un’ottica di lungo periodo, senza aver fretta di liquidare i propri investimenti.

Torniamo ora alla questione iniziale. Recentemente, la società di venture capital panafricana P1 Ventures ha raccolto un nuovo scaglione di capitali – 25 milioni di dollari – per il suo secondo fondo, che investirà in comparti innovativi, dall’e-commerce al fintech, dall’insurtech all’healthtech. Gli stessi settori su cui si è concentrato anche il primo fondo, ma adesso sarà data particolare rilevanza anche all’Intelligenza Artificiale.

E questa impostazione è affiancata da una strategia contrarian, come ha detto orgogliosamente Mikael Hajjar, fondatore di P1 Ventures, durante un’intervista a TechCrunch. Lo ha messo in chiaro: «Usciamo dai sentieri battuti e sosteniamo gli underdog; investiamo dove nessun altro lo fa».

Hajjar ha poi sottolineato alcuni investimenti effettuati dal primo fondo di P1 Ventures, con focus sulle startup che operano nei mercati dell’Africa francofona. A partire dall’algerina Yassir, una società di mobilità con tanto di app, e Chari, una piattaforma di e-commerce B2B in Marocco. Ma possiamo citare anche Djamo, una startup di pagamenti in Costa d’Avorio.

Con la nuova raccolta da 25 milioni di dollari, P1 Ventures pensa sempre in grande, e forse è per questo che ha attirato finanziatori di primario rilievo, tra cui conglomerati industriali e aziende private africane, ma anche fondi di fondi e società d’investimento con sede negli Stati Uniti e in Europa.

Il primo investimento nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale è rappresentato dalla startup zambiana Nkoloso.ai, che raccoglie dati e monitora vasti appezzamenti di terreni agricoli, utilizzando immagini satellitari oltre che l’AI (naturalmente). Hajjar sostiene che l’utilizzo di questa tecnologia da parte dell’azienda nel settore dell’agricoltura valorizzi il potenziale dell’Africa, superando i modelli tradizionali. Un po’ come accaduto con il fintech nell’ambito finanziario, che ha permesso di trovare nuove soluzioni oltre alle classiche infrastrutture per carte di debito e di credito.

«Crediamo che l’AI sarà la prossima grande opportunità per l’Africa», ha detto il fondatore di P1 Ventures. Sottolineando le tante applicazioni che può avere in «comparti come la vendita al dettaglio, l’assistenza sanitaria e la creative economy».

Hajjar ha poi evidenziato una dinamica particolare: «Ciò che vediamo di bello nell’IA è la capacità di esportare. Come sapete, il mercato unico e il rischio valutario sono i principali rischi degli investimenti in Africa. Il bello dell’IA è che le imprese sono orientate all’esportazione». Per fare qualche esempio, si può citare Instabug, nata in Egitto, e InstaDeep, controllata di BioNTech, poiché sono aziende di software e IA fondate in Africa ma con clienti negli Stati Uniti, in Europa e in tutto il mondo.

Secondo quanto dichiarato dalla società capitanata da Hajjar, in media, le aziende del suo portafoglio si sono assicurate finanziamenti di follow-on 35 volte superiori per ogni dollaro dei suoi investimenti. Tutto ciò nonostante un calo dei finanziamenti globali di venture capital. P1 Venture, come sottolineato da TechCrunch, non ha reso noto il suo IRR (tasso interno di rendimento). Tuttavia, afferma che il risultato sopracitato deriva dal valore che apporta alle aziende in portafoglio, in termini di competenze e della capacità di networking internazionale.

Non è un caso che nel gruppo di advisory di P1 vi siano personalità del calibro di Emil Michael, ex chief business officer di Uber, e Bernard Dalle, membro del team fondatore di Index Ventures. La società, insomma, sembra avere le carte in regola per stupire tutti, anche a fronte di eventuali venti contrari.