Eppure cadiamo felici

 “Sai perché mi scrivo sul braccio tutti i giorni quelle parole, “la felicità è una cosa che cade”? Per ricordarmi sempre che la maggior parte della bellezza del mondo se ne sta lì, nascosta lì: nelle cose che cadono, nelle cose che nessuno nota, nelle cose che tutti buttano via.»

Le rughe dei vecchi, le guarderebbe per ore. Quelle rughe sono strade, sono viaggi, sono sbagli. E quante più rughe, tanta più vita scritta in faccia. Segue il percorso di quei solchi nella pelle.
Prova a immaginarsi quante risate e quante lacrime e quanto dolore e quanta felicità ci sono voluti per farli. Sono come montagne che si stagliano all’orizzonte e che ti raccontano il paesaggio.
Sono come punti cardinali, indicazioni, cartelli. La vita che ha graffiato e ha lasciato il segno. Un po’ come la cicatrice che ha vicino all’orecchio, forse la cosa più preziosa che ha: la tocca spessissimo, ogni volta che vuole ricordarsi cosa non vuole essere, dove non vuole andare.

Tratto da “Eppure cadiamo felici” di Enrico Galliano

La correzione è arrivata ma è un cadere felici, perché sta ripulendo il mercato dagli eccessi, mentre i dati macro non smettono di dare buone notizie. Gli Stati Uniti sono in salute più che mai. La Germania si avvia a chiudere un anno con una crescita del Pil grezzo del quarto trimestre del 2,9%, con un’inflazione all’1,4% (armonizzata +1,6%). Bene anche l’Italia con un Pil a +1,4%, massimo dal 2010. Buone indicazioni dal Giappone con un Pil, nel quarto trimestre, in rialzo dello 0,5%, segnando il periodo di espansione ininterrotta più lungo dall’inizio del 1989. Le Borse hanno corretto ma i fondamentali rimangono interessanti.

Ora le valutazioni azionarie si sono riportate su valori più accettabili: il rapporto prezzo sugli utili a 12 mesi per l’indice S&P500 è passato da 18,5 a 17 (livello di novembre 2016 nel momento della vittoria di Trump) mentre per l’Europa ci attestiamo su 13,5 volte (stesso livello del primo trimestre 2015 quando Draghi ha iniziato il QE).  La correzione di questi giorni dei mercati ci ricorda che la felicità cade, ma serve per svelare altre bellezze che finora erano rimaste nascoste.  Il rialzo del Vix, l’indice della paura, è stato letto come un avvertimento: il probabile inizio di un calo più duraturo. Ha spaventato i portafogli deboli ovvero quelli che non si basavano su validi fondamentali.

Pochi, invece, ne hanno sottolineato il ritorno alla normalità. Un po’ di volatilità fa bene. E’ come il vento: spazza tutto ciò che non ha radici robuste. Ma è inutile nascondere che i mercati non hanno valvole di sfogo, reagiscono sempre in maniera eccessiva. CI sono però quei titoli che hanno solide radici, sono quelli che nonostante la crescita degli ultimi anni, mantengono ancora multipli interessanti perché gli utili sono cresciuti di par misura.

Ora a guardare i grafici delle Borse, non solo con la testa, ma anche con il cuore, ci si ricorda che sono come le rughe degli anziani “sono strade, sono viaggi, sono sbagli”. Il 19 agosto 2015, il Vix si era già impennato, ha avuto bisogno di circa due mesi per calmarsi, tornare a livelli accettabili. Intanto per un trimestre le Borse hanno rallentato. Sono stati fatti degli sbagli, si sono comprati indistintamente tutti gli asset come se fossero uguali e dovessero salire all’unisono, poi è arrivata la correzione, il vento per fare pulizia. Ma quando l’economia corre, i dati macro sono buoni, si scoprono tutte le altre bellezze.

A livello macroeconomico, stiamo assistendo a un passaggio di testimone importante. Le banche centrali stanno lasciando lo scettro alle politiche, per ora quelle fiscali. Come sempre, sono gli Stati Uniti a fare da apripista. Il presidente Usa, Donald Trump, ha presentato il mega piano infrastrutturale da 1,5 miliardi di dollari. Duecento miliardi li metterà l’amministrazione Trump, stimolando così gli investimenti privati e dei governi locali per arrivare a 1,5 miliardi. Un’iniezione di risorse e investimenti che si aggiunge al mega taglio fiscale appena annunciato.

Anche lo schema di intervento è interessante. Dei 200 miliardi federali, metà sono “grants” (contributi a fondo perduto) che premiano chi raccoglierà proprie entrate per ponti o ferrovie, aeroporti o acquedotti. Trump ha promesso di sveltire, a uno o due anni, le procedure di approvazione in media vicine ai cinque anni. La nota dolente, che troverà probabilmente opposizione dalla parte più oltranzista dei repubblicani, è il forte aumento del deficit pubblico, che dovrebbe raggiungere i 1000 miliardi nel prossimo biennio. L’aumento del debito, però, non spaventa per un Paese con un livello fiscale sui minimi e l’immediato effetto sui tassi di cambio che ha ulteriormente depresso il dollaro e favorirà un miglioramento dell’enorme disavanzo commerciale. D’altra parte, sono diversi i politici bipartisan a sottolineare le falle in cui versa il settore infrastrutture Usa ma queste sono risorse che comunque porteranno dei vantaggi nel Paese.

Ulteriore buona notizia macro arriva dal greggio, con il Brent caduto sotto i 63 dollari al barile dagli oltre 71, di tre settimane fa. La produzione Usa è cresciuta del 20% da metà 2016 e dopo aver superato Arabia Saudita. L’America ha messo nel mirino la Russia, candidandosi a breve a diventare il primo produttore al mondo.

Le correzioni servono a “ricordarci sempre che la maggior parte della bellezza dei mercati se ne sta lì, nascosta lì: nelle cose che cadono, nelle cose che nessuno nota” sta a noi scovarle.