Chi osa sognare

«Alcuni uomini vedono le cose per come sono e chiedono: ‘Perché?’. Io oso sognare cose che non sono mai state e dico: ‘Perché no?’.»

Citazione tratta da Torniamo a Matusalemme, di George Bernard Shaw

 

Il cambiamento può determinare il successo. Di aziende, Stati e unioni sovranazionali. Ma per il cambiamento servono persone che non si fermino alla realtà per quella che è, e che sappiano osare e «sognare cose che non sono mai state» chiedendosi: «‘Perché no?’». Mario Draghi potrebbe incarnare benissimo questa massima di George Bernard Shaw e la sua visione di cambiamento dell’Unione europea non dovrebbe essere trascurata da chi opera sui mercati.

Ad oggi, l’UE in molti casi risulta un blocco frammentato che soffre di una cronica carenza di investimenti e di un rapido invecchiamento della popolazione, non bilanciato dalla crescita demografica. Inoltre, nonostante i 31 anni di vita del mercato unico (che ha rappresentato un’evoluzione fondamentale), permangono ostacoli al libero flusso di manodopera, capitali e merci.

Ma l’ex capo della Banca centrale europea, famoso anche per aver svolto un ruolo fondamentale nel porre fine alla crisi del debito del 2012, osa sognare un’Unione ancora più forte e integrata. Ed è per questo che Bruxelles gli ha chiesto di elaborare un report sulla competitività. Di recente, Draghi ha incontrato i ministri delle finanze dell’UE nella città belga di Gand, spiegando quali siano gli elementi necessari per il cambiamento. Tra i punti cardine vi sono un basso costo del capitale, la rielaborazione delle regole per favorire l’innovazione e, se necessario, la concessione di aiuti di Stato senza però inquinare il merito e la concorrenza.

«Dobbiamo investire una quantità enorme in un orizzonte temporale relativamente breve per ristrutturare le catene di approvvigionamento e decarbonizzare le nostre economie, con il capitale che probabilmente verrà consumato più velocemente di quanto possa essere sostituito», ha detto Draghi in un discorso.

Le istituzioni UE stimano che l’Europa avrà bisogno di 650 miliardi di euro in investimenti (quelli privati saranno fondamentali) ogni anno fino al 2030, e di 800 miliardi di euro all’anno successivamente e fino al 2040. Uno degli obiettivi nel mirino è quello di colmare il divario tecnologico con gli Stati Uniti, sede di gruppi leader a livello mondiale, e di rendere l’Europa più autosufficiente. Per esempio favorendo lo sviluppo locale di settori che producano tecnologie verdi e chip, che oggi sono importati dall’Estremo Oriente.

Tuttavia, per centrare questi risultati, l’Europa deve invertire l’emorragia di capitali – circa 330 miliardi di euro l’anno scorso – poiché gli europei impiegano buona parte dei loro risparmi all’estero, in particolare sul mercato azionario statunitense. Anche gli investimenti pubblici sono inferiori a quelli degli Sates, dove la mano federale nel corso degli anni ha supportato lo sviluppo di invenzioni fondamentali, come lo stesso Internet.

I responsabili finanziari dell’UE a Gand hanno ribadito una soluzione: abbattere le barriere ancora esistenti tra i Paesi membri per trasformarli in un mercato unico a tutti gli effetti. «Dobbiamo garantire che le imprese, soprattutto quelle più piccole, che vogliono crescere più rapidamente, abbiano accesso a finanziamenti adeguati», ha dichiarato il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe.

Mentre Draghi ha sottolineato che «il divario dell’UE rispetto agli Usa si sta allargando soprattutto dopo il 2010. Agli Stati Uniti sono serviti due anni per tornare ai livelli precedenti, all’Europa 9 anni e da allora non siamo saliti». L’ex presidente della BCE ha poi aggiunto che, in seguito ai cambiamenti verificatisi negli ultimi anni nell’ordine economico globale, l’UEa deve agire subito o rischia di continuare a perdere terreno.

Come procedere, dunque? Draghi ha detto che, al termine dell’Ecofin, gli hanno chiesto quale sia l’ordine delle riforme necessarie per l’UE. «Quale sia l’ordine non lo so – ha risposto l’ex numero uno della BCE – Ma per favore, è il momento di fare qualcosa, decidete voi cosa ma per favore, si faccia qualcosa, non si può passare tutto il tempo a dire no».

Una buona parte della responsabilità decisionale spetterà anche agli Stati nazionali. Alcune opzioni sul tavolo sono l’avvio di un Fondo, l’emissione di debito comune come nei mesi della pandemia, oppure fare leva sulle risorse della BEI, che potrebbe favorire la mobilitazione anche di investimenti privati.

Di certo bisogna continuare a monitorare gli sviluppi europei, confidando negli uomini in grado di sognare un’Unione più efficiente, equa e prospera, a beneficio di cittadini, imprese e investitori.