Allons enfants de la Patrie

“Allons enfants de la Patrie,
Le jour de gloire est arrivé!
Contre nous de la tyrannie,
L’étendard sanglant est levé!
L’étendard sanglant est levé!
Entendez-vous dans les campagnes
Mugir ces féroces soldats?
Ils viennent jusque dans nos bras
Egorger nos fils et nos compagnes!
Aux armes, citoyens!
Formez vos bataillons!
Marchons! Marchons!
Qu’un sang impur
Abreuve nos sillons!

Que veut cette horde d’esclaves,
De traîtres, de rois conjurés?
Pour qui ces ignobles entraves,
Ces fers dès longtemps préparés?
Ces fers dès longtemps préparés?
Français, pour nous, ah! Quel outrage!
Quels transports il doit exciter!
C’est nous qu’on ose méditer
De rendre à l’antique esclavage!..”
tratto da La Marsigliese, inno nazionale francese.

La Marsigliese fu composta da un italiano e dedicata ad un tedesco. Niente di più europeo poteva essere scelto per un inno nazionale.  La melodia venne scritta da Giovanni Battista Viotti, musicista di corte a Parigi. Un expat ante litteram che, ben 11 anni prima (nel 1781), aveva creato lo spartito, inconsapevole che poi gli sarebbe stato scippato qualche anno più tardi per trasformarlo in un inno rivoluzionario. Il nome prende origine dal fatto che a cantarla durante le caotiche giornate rivoluzionarie furono i fédéré a Parigi, provenienti da Marsiglia, ma che a loro volta la stavano importando .

Il compositore finale della Marsigliese, Claude Joseph Rouget de Lisle, che scrisse il testo, rubò solo la musica, ma non pensava al popolo francese in armi, mentre scriveva, bensì ad un maresciallo bavarese. Nicolas Luckner di origine tedesca, si distinse al comando delle truppe prussiane e, allora, fu chiamato a Versailles. Insomma, un mercenario. Nel 1791 ricevette l’incarico da parte del barone di Dietrich, sindaco di Strasburgo, di guidare l’Armata del Reno contro l’Austria. Per accompagnare le sue truppe serviva una marcia potente, forte e vitale, e allora si chiese a Rouget de Lisle di comporre un inno. Risultato? La Marsigliese.

Alla prima vittoria di Emmanuel Macron, i mercati, non solo quelli europei, brindano con rialzi da capogiro. L’outsider francese ha spedito i listini sui massimi con il Nasdaq che ha aggiornato il record storico. Nuovo record anche per Francoforte mentre a Parigi, il Cac40 si è portato  sui livelli del gennaio 2018 e Milano ai top degli ultimi 15 mesi.

Dopo Brexit ed elezioni Usa non sembra vero che il risultato finale sia vicino ai sondaggi. A rinforzare Macron con il 23,8% contro il 21,6% della sfidante Marine Le Pen è l’appoggio del terzo e del  quinto della classifica: Fillon al 19,9% e Hamman 6,3% hanno già dichiarato di sostenere l’Enfant de la Patrie. E così il risultato del ballottaggio sembra già scritto.

La domanda è perchè i mercati hanno reagito con tale impeto se il risultato del secondo turno sembra scontato? Tre buoni motivi: primo, la scarsa affidabilità dei sondaggi, secondo Macron ha vinto comunque da solo sulla Le Pen, non è arrivato secondo e ha dimostrato che anche un outsider, senza l’appoggio dei vecchi partiti, è in grado di tenere a bada l’estrema destra, terzo la chiusura delle posizioni di copertura. Venerdì scorso l’esposizione degli hedge fund sulla Borsa francese era al record storico e quella sulle Borse europee ai massimi dal 2008. Una polizza assicurativa per coprirsi da risultati inaspettati.

 

Ora la domanda giusta è chiedersi cosa succederà? Scampato il pericolo euro con la moneta che punta al 1,1 sul dollaro, ci si attende uno scenario di  tranquillità per almeno due-tre mesi in attesa delle scaramucce per il voto tedesco, anche se da lì non si teme nessun attacco all’Europa. Ad aiutare i mercati è anche un greggio che ritorna sotto i 50 dollari al barile rispettando la fascia dei 45/55 dollari e l’oro che si ridimensiona.

 

Il ritorno di Trump

 

“Get it Done”, “fatelo” ha ordinato Donald Trump ai suoi collaboratori indicandogli di mettere a punto per mercoledì, l’ambizioso piano di taglio delle tasse che tanto ha promesso in campagna elettorale. L’obiettivo è portare l’aliquota aziendale al 15% dal 35% attuale. L’ordine sarebbe più perentorio di quanto non appare. Trump, infatti, avrebbe indicato di dare priorità agli sgravi rispetto al contenimento del deficit, per poter, quanto prima, annunciare i tagli. La riduzione al 15%, secondo le stime della Commissione fiscale congiunta del Parlamento, ammonta a duemila miliardi di entrate perse nell’arco di dieci anni per il governo statunitense. Questa decisione certo piace ai mercati ma l’iter scelto rende molto meno probabile un successo finale. Al Congresso, infatti, la procedura battezzata con il nome di “reconciliation” permette di approvare con maggioranza semplice, un taglio fiscale senza aggravare il deficit. Al contrario per far passare una vasta riforma con un impatto sul budget, a Trump non basterà una maggioranza semplice ma avrà bisogno dei voti dell’opposizione democratica. I numeri sono numeri, l’abbiamo già visto con la mancata riforma dell’ObamaCare.

E’ arrivato il momento di ribilanciare le posizioni sull’equity Usa e quelle europee. Il periodo atteso di calma piatta nel Vecchio Continente  potrebbe  ridurre il gap con le Borse Usa. Sul fronte bond, al contrario, è atteso un cambio di passo della Bce, almeno a parole, quindi attenzione alle duration lunghe. Mentre Trump è alla prova dei fatti l’Europa entra nella fase pre-elettorale delle aspettative. In attesa di vedere Macron all’opera è arrivato il momento di marciare un po’ di più sul Vecchio Continente: Allons enfant de la Patrie.