Manodopera e inflazione, quale avvenire per la Cina?

«Qualcuno “costruisce” il proprio avvenire ma, in realtà, anche altri partecipano a questa impresa, che è primariamente una manifestazione della vita sociale.»

Citazione tratta da Futuro, di Marc Augé

 

Secondo Marc Augé non è così semplice capire quale sarà il proprio avvenire, perché, anche se proviamo a costruirlo, ci sono diversi fattori in gioco. Infatti «anche altri partecipano a questa impresa, che è primariamente una manifestazione della vita sociale».

E capire l’avvenire delle società è forse ancora più complicato, ma è fondamentale per chi opera sui mercati. Nessuno ha la sfera di cristallo, ma ragionare sulle possibili evoluzioni del mondo è doveroso.  E una riflessione interessante sull’avvenire di un’economia importante a livello mondiale, quella cinese, è stata recentemente pubblicata da David Rees, Senior Emerging Markets Economist di Schroders.

Premessa: nel corso degli anni un numero crescente di aziende ha trasferito la produzione in Cina per i modesti costi della manodopera, favorendo il ribasso sui prezzi dei beni globali. Nell’avvenire, però, Rees ritiene che questa dinamica potrebbe cambiare in maniera sensibile. In particolare, si prevede che la popolazione cinese in età lavorativa diminuirà in modo significativo, mentre la «crescita dei salari – sottolinea l’esperto – spinta anche dalla politica di prosperità comune del governo, implica che la manodopera non sarà più così conveniente come un tempo. Nel frattempo, questi cambiamenti strutturali si stanno verificando in un contesto di politiche commerciali più aggressive nei confronti della Cina, che minacciano di spezzare le catene di approvvigionamento».

Si pensi che nel 1995, secondo le stime di Oxford Economics, il salario medio nel settore manifatturiero cinese era di 40 centesimi all’ora, pari ad appena il 2% della tariffa oraria media di 17 dollari pagata nei Paesi del G7. Dall’altro lato, tuttavia, negli ultimi 25 anni questi salari sono aumentati di un incredibile 1700% in dollari USA.

Nonostante ciò, «continuano a restare molto più bassi rispetto ai mercati sviluppati e non superano di molto quelli di grandi Paesi emergenti come l’India e il Messico», precisa Rees. Che aggiunge: «Inoltre, a differenza di altri Paesi emergenti, la crescita dei salari in Cina sembra essere stata giustificata in gran parte da un rapido aumento della produttività. In altre parole, i lavoratori cinesi sono stati pagati di più per produrre più beni, mantenendo bassi i costi unitari del lavoro e diventando così ancora più competitivi rispetto agli altri Paesi emergenti».

Il pericolo principale, secondo l’esperto, si avrebbe nel caso in cui la politica governativa della “prosperità comune” dovesse portare ad aumenti salariali imposti a livello centrale che superano la produttività. L’aumento del costo del lavoro potrebbe infatti provocare un deterioramento della competitività esterna del gigante asiatico, con conseguente sostituzione delle importazioni e indebolimento dell’industria nazionale.

«Nel lungo periodo – spiega Rees – un simile scenario potrebbe causare lo spostamento della produzione verso altri mercati più competitivi, come il Vietnam. Tuttavia, nel breve periodo, il dominio della Cina in molti settori renderebbe difficile per i consumatori diversificare rapidamente l’approvvigionamento verso altri Paesi, con conseguente aumento dei prezzi dei beni a livello globale».

Bisogna poi considerare che l’interruzione delle catene di approvvigionamento globali (a causa della pandemia di Covid-19 e della guerra in Ucraina) ha spinto molte aziende a trasferirsi in zone considerate più “sicure” ma con costi della manodopera più elevati. Secondo Rees, «spostare la produzione, o anche solo creare hub produttivi regionali, comporta un costo che le aziende con potere di determinazione dei prezzi potrebbero trasferire ai consumatori. È questa la grande minaccia per i prezzi dei beni globali». Un tema particolarmente preoccupante visti i già alti livelli di inflazione.

Il rischio di una rapida crescita dei salari superiore alla produttività deve essere monitorato attentamente, ma per quanto sia difficile predire l’avvenire, Rees è fiducioso. La maggior parte delle recenti riforme annunciate dal governo cinese, infatti, sono «rimaste coerenti con il tentativo di aumentare i livelli di reddito e di qualità della vita attraverso lo sviluppo economico». Infine, Rees evidenzia che «non si sa se queste politiche riusciranno a incrementare il reddito disponibile e i consumi in futuro, ma è improbabile che provochino un forte impulso inflazionistico».