L’avanzata del “modello cinese”

«L’avanzata di un “modello cinese” in vaste zone del mondo (fino all’Africa e all’America Latina) apre interrogativi inquietanti sul futuro della democrazia e dei diritti umani.»

Citazione tratta da Occidente estremo: Il nostro futuro tra ascesa dell’impero cinese e declino della potenza americana, di Federico Rampini

 

Era il 2010 quando venne pubblicato il libro di Federico Rampini Occidente Estremo, in cui scriveva che «l’avanzata di un “modello cinese” in vaste zone del mondo (fino all’Africa e all’America Latina) apre interrogativi inquietanti sul futuro della democrazia e dei diritti umani». Ma la frase risulta ancora oggi attuale, soprattutto considerando quanto emerso dal recente G7, un evento attentamente monitorato dai mercati.

Nella dichiarazione finale, i leader dei Paesi coinvolti (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Usa) hanno concordato di adottare una linea più dura contro la Cina in materia di pratiche commerciali sleali, questioni relative ai diritti umani e repressione dell’opposizione a Hong Kong. I sette hanno anche condannato i lavori forzati e il trattamento della minoranza uigura da parte di Pechino. Si tratta della prima volta che i leader del G7 esprimono le loro critiche alla seconda economia mondiale in una dichiarazione finale in modo così esplicito. Al contempo, tuttavia, viene sottolineato un interesse comune alla cooperazione con la Cina per quanto riguarda alcune sfide globali, dalla lotta ai cambiamenti climatici alla tutela della biodiversità.

Secondo il testo, il G7 cercherà di «continuare a consultarsi sugli approcci collettivi per gestire le politiche e le pratiche non di mercato che minano il funzionamento equo e trasparente dell’economia globale». Inoltre, si parla chiaramente della tutela «dei nostri valori, anche invitando la Cina a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, in particolare in relazione allo Xinjiang e a quei diritti, libertà e alto grado di autonomia per Hong Kong sanciti dalla Dichiarazione congiunta sino-britannica».

Tutti concetti che il presidente statunitense, Joe Biden, ha voluto ribadire anche nell’incontro dei giorni scorsi con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. L’inquilino della Casa Bianca ha ricordato l’art. 5 del trattato che autorizza l’intervento in caso di attacco anche ad un solo Paese, definendolo un «sacro obbligo». Poi, i leader Nato hanno dichiarato che l’espansionismo del “modello cinese” presenta «sfide sistemiche all’ordine internazionale basato su regole e alle aree rilevanti per la sicurezza dell’alleanza».

Dall’altro lato, la delegazione cinese in missione presso l’Unione europea ha pesantemente criticato la “teoria della minaccia” rivolta verso il gigante asiatico. Pechino ha parlato di una mentalità da guerra fredda, provando a rassicurare sulle proprie intenzioni di uno sviluppo pacifico. I mercati sperano che tutte le parti coinvolte riescano a risolvere tutti i nodi con il lavoro diplomatico, evitando un inasprimento delle relazioni che potrebbe ripercuotersi sull’economia.

Nel frattempo, una buona notizia è arrivata nel campo dei rapporti Ue-Usa. Dopo 17 anni di dispute giudiziarie e commerciali, questa settimana è stata parzialmente risolta la questione che vedeva contrapposte l’americana Boeing e l’europea Airbus. Bruxelles e Washington hanno sottoscritto un accordo di cinque anni che prevede la sospensione dei dazi al centro della controversia tra i colossi dei cieli, nell’attesa di trovare un’intesa definitiva. Le tariffe aggiuntive potrebbero però essere reintrodotte se gli States non saranno in grado di garantire una competizione equa con l’Unione europea.

Si tratta comunque di un importante passo in avanti per dirimere i dissapori sulla legittimità degli aiuti di Stato erogati ai rispettivi produttori di aeromobili. Per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, «si apre un nuovo capitolo nelle nostre relazioni perché ci spostiamo da un contenzioso alla collaborazione». L’accordo – si legge in una nota Ue – favorisce una «risoluzione della controversia commerciale più lunga nella storia del Wto».

In ambito monetario, i riflettori sono puntati sulle prossime mosse della Federal Reserve. L’istituto centrale statunitense per il momento ha deciso di proseguire con una politica accomodante, ma la stretta appare più vicina. Nel corso della settimana, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha avvertito che «se vedessimo segni che l’andamento dell’inflazione o le aspettative di inflazione di lungo termine si muovono in modo notevole e persistente al di sopra dei livelli coerenti con il nostro obiettivo, saremo pronti a modificare l’orientamento della politica monetaria».