La fortuna di Cervantes e la strategia finanziaria

«Questa che chiamiamo fortuna è una donna ubriaca e capricciosa, ma soprattutto cieca, e così non vede ciò che fa, né sa chi getta nella polvere né chi invece porta sugli altari.»

Citazione tratta da Don Chisciotte, di Miguel de Cervantes

 

Un po’ di “fortuna” non guasta, ma chi opera sui mercati borsistici sa che bisogna agire con acume, seguendo una strategia precisa. Perché gli investimenti non possono essere guidati, per dirla con Miguel de Cervantes, da «una donna ubriaca e capricciosa, ma soprattutto cieca, e così non vede ciò che fa, né sa chi getta nella polvere né chi invece porta sugli altari». Al contrario, le scelte finanziarie devono essere fatte con lungimiranza, guardando attentamente alle possibili conseguenze. E un modo per non “gettarsi nella polvere” è quello di valutare con cura le indicazioni degli analisti.

Gli esperti di Société Générale, per esempio, hanno recentemente individuato alcuni titoli potenzialmente interessanti, alla luce del contesto attuale e delle dinamiche future previste, con un particolare riguardo all’andamento dell’inflazione e al suo impatto sulle materie prime. Tra i nomi selezionati dalla banca vi sono Repsol (compagnia petrolifera spagnola), Abn Amro (gruppo finanziario olandese), Zalando (società tedesca di e-commerce specializzata nell’abbigliamento) e Pennon Group (azienda britannica di servizi idrici). Senza dimenticare Rexel, gruppo francese attivo nella distribuzione di apparecchiature idrauliche ed elettriche (per il riscaldamento e l’illuminazione), ma anche nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica.

In campo monetario, anche le banche centrali non possono permettersi di agire in base alla cieca fortuna. Tuttavia, ciò non significa che gli istituti delle varie nazioni siano sempre sulla stessa lunghezza d’onda: alcuni vogliono mantenere la linea accomodante implementata a causa della pandemia di Covid-19, altri vedono avvicinarsi velocemente un cambio di rotta. La Banca centrale della Nuova Zelanda, per esempio, ha lanciato segnali per una potenziale rivisitazione della propria politica, sulla scia di altre economie legate alle materie prime come Canada, Norvegia e Russia. L’istituto neozelandese ha infatti svelato le sue proiezioni per aumentare i tassi nel settembre 2022.

All’opposto, la Fed e la Bce intendono proseguire con la linea espansiva, o quantomeno vogliono riflettere con maggiore calma su come procedere. L’Eurotower, in particolare, ha fatto sapere che il tapering del Pepp (il piano di emergenza pandemica) a giugno è prematuro, nonostante vi sia stato un recupero dell’economia. E i miglioramenti, tornando a Cervantes, non sono certo da imputare alla fortuna. Il merito, secondo le recenti dichiarazioni di Fabio Panetta (componente del Comitato esecutivo della Bce e già direttore generale della Banca d’Italia), va alle istituzioni europee, ai Paesi membri e alla loro «risposta comune», che ha avuto un impatto chiaro: «Abbiamo avuto una recessione recuperata con rapidità, si è evitata una crisi finanziaria e sono state poste le basi per un programma di investimenti» che «ci può portare fuori da questa crisi».

Sul fronte del commercio internazionale sono arrivate buone notizie, dovute al lavoro diplomatico più che alla cieca fortuna. Gli Stati Uniti, infatti, nei giorni scorsi hanno sancito la tregua sulla web tax. L’amministrazione Biden ha sospeso i dazi nei confronti di sei Paesi (Austria, India, Italia, Spagna, Turchia e Regno Unito), al fine di concedere più tempo per discutere e trovare un accordo sulla tassazione internazionale in seno all’Ocse e al G20.

Le tariffe (al 25%) erano la risposta statunitense alle norme fiscali delle nazioni coinvolte relative ai servizi digitali, e avrebbero colpito un import complessivo di quasi 2 miliardi di dollari. La Commissione Ue ha accolto favorevolmente la decisione e un portavoce ha spiegato che gli attuali negoziati multilaterali sul tema sono la giusta occasione «per trovare una soluzione globale all’equa tassazione del settore digitale».

A favorire un potenziale compromesso è stata proprio Washington, con la proposta di un’aliquota fiscale minima globale di almeno il 15%. Tale iniziativa si colloca all’interno dell’agenda fiscale del presidente Biden, che prevede l’innalzamento dell’imposizione sulle aziende e delle tasse sui profitti esteri delle società statunitensi. Ma il lavoro di negoziazione deve proseguire con cautela, poiché alcuni Paesi, come l’Irlanda, avevano fin da subito espresso scetticismo.