Future Mirror – La quotazione della discordia e il futuro delle criptovalute

Le (cosiddette) monete virtuali rappresentano uno degli argomenti più discussi in ambito innovazione. Per questo non poteva che suscitare grandi ripercussioni la quotazione di Coinbase, uno dei più importanti siti per comprare bitcoin e altre criptovalute. Ma andiamo con ordine. Il 14 aprile la società ha esordito sul Nasdaq, raggiungendo un valore di mercato di 85 miliardi di dollari al termine della seduta. In particolare, dai 381 dollari per azione iniziali, Coinbase è arrivata nei primi minuti di scambi a un massimo di 429 dollari, per poi chiudere il giorno di debutto a 328 dollari. Si tratta della maggiore quotazione per un’azienda statunitense dall’arrivo in borsa di Uber nel 2019.

Il valore raggiunto, inoltre, rappresenta un balzo importante per la società fondata nel 2012 a San Francisco da Brian Armstrong e Fred Ehrsam; nel 2018, infatti, aveva ricevuto una valutazione di 8 miliardi di dollari durante una prima campagna di raccolta di investimenti. Oggi, Coinbase consente di acquistare e vendere circa 50 criptovalute tra cui bitcoin ed ethereum. Complessivamente raggruppa oltre 56 milioni di utenti e, ogni mese, circa 6 milioni di clienti effettuano operazioni attraverso la piattaforma. Secondo alcuni esperti, Armstrong potrebbe presto diventare uno dei 100 uomini più ricchi del mondo nella classifica di Forbes. Tuttavia esistono anche opinioni fortemente critiche, secondo cui Coinbase e i business legati alle criptovalute sono destinati a esplodere perché basati su asset fittizi.

Per Brian Armstrong, una delle più pericolose minacce al mondo delle valute digitali è rappresentata dalla regolamentazione; durante un’intervista a CNBC, l’imprenditore ha detto che «specialmente ora saremo sempre più sotto esame per quello che facciamo. Le persone vogliono capirne le implicazioni. Siamo felici di impegnarci, come abbiamo fatto negli ultimi nove anni, da quando abbiamo creato la società, con i parlamentari a Washington e con le autorità di tutto il mondo, perché ovviamente Coinbase è ora in molti Paesi diversi, su come possiamo costruire questa industria». Armstrong, inoltre, ha sottolineato che «siamo molto eccitati e felici di giocare secondo le regole. Chiediamo solo di essere trattati come tutti gli altri servizi finanziari tradizionali e non essere puniti perché siamo nello spazio cripto».

Intanto, anche la Svizzera fa passi in avanti in questo settore. Il canton Ticino, in scia all’esempio del cantone e della città di Zugo ma anche del Comune di Chiasso, ha scelto di avviare un progetto pilota al fine di consentire ai cittadini di pagare i servizi dello Stato in bitcoin. La decisione è stata presa questo mese dal Gran Consiglio ticinese: 48 deputati si sono espressi a favore, 36 hanno votato contro, mentre 3 si sono astenuti.

Per i sostenitori, l’iniziativa rappresenta un segnale di fiducia verso il fintech. Il fronte contrario, invece, ritiene che lo Stato non dovrebbe promuovere le valute virtuali per il pericolo di evasione, la mancanza di trasparenza sui beneficiari e la grande quantità di energia che richiedono. Anche in questo caso la sfida sulle criptovalute è aperta, ma il fatto che le autorità svizzere hanno aperto un dibattito sull’argomento è già un segno importante per esplorare nuove opportunità d’innovazione.

Passando all’economia sostenibile, bisogna sottolineare i risultati dell’analisi di Bloomberg che misura gli impegni presi sul cambiamento climatico dalle società petrolifere. In particolare, è stata stilata una graduatoria – pubblicata di recente – per mettere a confronto le dichiarazioni di intenti con quanto poi effettivamente viene fatto a livello industriale. Risultato? Le big oil company europee sono nettamente in testa alla classifica generale, che comprende 39 grandi gruppi a livello mondiale. Nella top ten sono presenti ben 8 aziende del Vecchio Continente: in prima posizione c’è il gruppo francese Total (con un punteggio di 8,4 punti), seguito dai portoghesi di Galp (8,1 punti), i norvegesi di Equinor (7,6), gli inglesi di BP (7,3) e gli anglo-olandesi di Shell (7,2). Al sesto troviamo Eni (6,7) che precede l’austriaca Omv (6 punti).