Un patto per la ripresa

«Fare patti con le bestie brute è impossibile, perché, non intendendo la nostra parola, non intendono né accettano alcuna traslazione di diritto, né possono trasferire alcun diritto ad altri e, senza una accettazione reciproca, non c’è patto.»

Citazione tratta da Il Leviatano, di Thomas Hobbes



Non è possibile «fare patti con le bestie brute», come ha scritto Thomas Hobbes ne Il Leviatano. Per fortuna, i capi di Stato e di governo dell’Unione europea si sono dimostrati, al contrario, “esseri ragionevoli”. Certo, sono serviti cinque giorni di estenuanti trattative, ma alla fine sono riusciti a intendere le rispettive parole, ad accettarsi reciprocamente e a stringere un patto (martedì mattina). Parliamo dell’accordo sul Fondo per la ripresa.

In base al piano, la Commissione europea potrà emettere titoli comuni sui mercati, al fine di finanziare un significativo trasferimento di risorse verso i Paesi più in difficoltà a causa dell’impatto della pandemia da Covid-19. Il Fondo avrà un valore complessivo di 750 miliardi di euro. Si tratta di un’importante novità perché, di fatto, si farà del debito pubblico comunitario. Le risorse verranno erogate secondo due modalità: 390 miliardi saranno distribuiti sotto forma di sussidi a fondo perduto, mentre 360 miliardi saranno dei prestiti. I soldi verranno elargiti tra il 2021 e il 2023, e il Fondo rimarrà in vita fino al 2026. Mentre il rimborso dei prestiti comincerà dal 2027.

Anche se è stata rifiutata la proposta dei Paesi frugali – Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Austria e Finlandia – di un diritto di veto sulle spese, l’Unione europea potrà esercitare alcune forme di controllo. Per ricevere i fondi, infatti, sarà necessario presentare un piano di riforme che dovrà essere approvato dalla Commissione europea e dal Consiglio europeo, a maggioranza qualificata. C’è poi un’altra condizione, legata al raggiungimento dei termini intermedi del piano di riforme, che prevede una potenziale sospensione temporanea dei pagamenti in caso di sospetta violazione degli accordi (il cosiddetto “freno di emergenza”).

Insomma, i Paesi frugali e i Paesi non frugali non si sono comportati come bestie brute e sono riusciti a trovare un compromesso al di là delle varie divergenze.

Dal punto di vista macro, l’Ufficio statistico europeo (Eurostat) ha confermato il recupero dell’inflazione dell’Eurozona nel mese di giugno. I prezzi al consumo sono saliti dello 0,3% su base tendenziale, come previsto nella stima flash. Nel mese precedente, invece, era stato registrato un incremento dello 0,1%. Su base mensile, i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,3%, in linea con il consensus, dal -0,1% di maggio. L’inflazione core, depurata dalle componenti più volatili (come cibi freschi, energia, alcool e tabacco) evidenzia una crescita dello 0,8% anno su anno, come da attese. Su base mensile, il risultato è pari a +0,3%.

Passando agli Stati Uniti, ci sono novità sul fronte della lotta contro il coronavirus. Gli Usa hanno firmato un accordo da 1,95 miliardi di dollari per ordinare un potenziale vaccino, sviluppato congiuntamente dalla statunitense Pfizer e dalla tedesca BioNTech. Se il prodotto risulterà sicuro ed efficace nella fase 3 dei test e riceverà l’autorizzazione, Pfizer potrà cominciare a distribuire il vaccino negli States sotto le direttive del governo. In base all’intesa, il dipartimento alla Sanità e quello alla Difesa degli Stati Uniti riceveranno 100 milioni di dosi, ed è prevista la distribuzione gratuita ai cittadini.

Intanto, dal punto di vista geopolitico, i mercati sono preoccupati dalle nuove tensioni tra Washington e Pechino. La Cina infatti ha fatto sapere che gli Usa hanno ordinato la chiusura del suo consolato generale di Houston (Texas), con l’accusa di operazioni di spionaggio illegale. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, in una conferenza stampa a Pechino ha detto che si tratta di «una provocazione politica unilaterale lanciata dagli Stati Uniti». Su questo fronte, per dirla con Hobbes, sembra che le due superpotenze abbiano forti difficoltà ad avere una strutturale «accettazione reciproca».

A livello macro, invece, da Pechino arrivano notizie positive. L’economia cinese, dopo essere caduta del 6,8% nei primi tre mesi dell’anno, nel secondo trimestre è riuscita a rialzarsi. Il dato annunciato dall’ufficio nazionale di statistica nei giorni scorsi indica un balzo del 3,2% rispetto allo stesso periodo del 2019. Un risultato che ha battuto anche le attese degli analisti.