Il libro dei sogni
- 12 Gennaio 2017
- Posted by: VectorWM
- Categoria: Non categorizzato
“Al risveglio dal sonno restavo la’ sdraiato a guardare le figure che svanivano lentamente come in una dissolvenza cinematografica nei recessi della mia mente inconscia… Ma un’ora dopo, davanti a un caffè, a volte provavo un senso di vergogna nel vedere tali nude rivelazioni enunciate con simile noncuranza. Questo accade perché la mente inconscia non fa alcuna discriminazione tra buono e cattivo tra ciò che è. E’ soltanto con la nostra mente conscia che noi emettiamo giudizi ed elaboriamo concetti.” Da Il libro dei sogni di Jack Kerouac.
Per scrivere questo libro Kerouac, a fianco al letto, aveva lasciato un taccuino e una matita, al risveglio non ancora del tutto conscio, descriveva i suoi sogni. Una pratica che anche lo psicanalista Sigmud Freud, suggeriva per, diceva, esercitare la memoria a ricordare i propri sogni e dar la possibilità al lato conscio di elaborare quello inconscio. A inizio anno vorrei segnarmi in un taccuino le previsioni di tutte le banche d’affari e poi, a distanza di 12 mesi, verificare la lontananza tra sogno e realtà. La verità è che è diventato sempre più difficile elaborare previsioni. Le variabili in gioco e soprattutto gli attori sono aumentati. Non sono solo la crescita delle economie asiatiche, le incertezze politiche, il maggiore ruolo delle banche centrali, interviene anche un’economia sempre più interconnessa dove “un battito di ali a New York ha i suoi effetti a Pechino”.
Il 2016 è stato l’anno che ha smentito ogni previsione e sondaggi, dalla Brexit all’elezione di Trump ad un accordo dell’Opec che mancava da 8 anni.
Ora però sembra dominare l’ ottimismo su alcune variabili macro che trova poco sostegno sui fondamentali. Le maggiori banche d’affari sono convinte che la politica fiscale del Presidente eletto Donald Trump sarà in grado di sostituire la politica monetaria espansiva della Fed per continuare a far correre l’economia Usa. Sono in pochi a chiedersi quali saranno i reali margini di manovra del budget americano. Sicuramente in principio Trump avrà le mani libere, ma un portafoglio non può guardare a un orizzonte temporale troppo limitato. E i vincoli di bilancio verranno a galla. L’era Obama, dal 2009 al 2016, ha tagliato la disoccupazione al 4.7% dal 9.3% ma non senza costi: il debito federale è esploso dall’86% al 104.8% del Pil. Invertire la tendenza non sarà facile.
L’altra grande variabile è il dollaro. Citigroup scommette che il cambio con l’euro arriverà a 0,9. Un dollaro così caro non piacerà a Trump che non vede di buon occhio il fuggi-fuggi delle aziende americane all’estero e una moneta così forte non aiuta a creare posti di lavoro. Ancora Citigroup scommette su un rialzo double-digit dell’S&P500. Capiamoci, ci saranno sicuramente azioni Usa in grado di mettere a segno performance spettacolari, vedi il settore chip in fermento con le scommesse di M&A tra Intel e Nvidia. Ma i multipli iniziano a essere cari. L’S&P500 non smette di macinare nuovi record mentre il Dow Jones sembra, per dispetto, non voler superare la fatidica soglia dei 20mila punti.
Oggi, stando a quanto ci raccontano le statistiche, Wall Street non è proprio a buon mercato: il rapporto tra prezzo e utili stimati per il 2017 supera le 17 volte contro le medie storiche di 15, siamo quantomeno su una soglia di attenzione.
La terza variabile su cui prevale l’ottimismo è il petrolio. L’accordo tra Paesi Opec e non per un taglio della produzione ha surriscaldato il greggio ai massimi dal luglio 2015. Poi sono arrivati i dati sull’export record dai porti nel sud dell’Iraq accendendo i timori che il Paese non voglia rispettare gli accordi. Dall’altro lato non si arresta l’aumento delle trivellazioni negli USA salite per la decima settimana consecutiva al massimo da oltre un anno. Il petrolio dopo un avvio spumeggiante ha ritracciato.
Le buone notizie arrivano dalla Cina. La principale agenzia di programmazione economica di Pechino prevede una crescita del Pil 2016 del 6.7%. Sarà anche il ritmo più lento degli ultimi 25 anni ma elimina definitivamente i timori di un “atterraggio ruvido”. La Cina ha contribuito lo scorso anno nella misura dell’1.2% (con un peso di poco più del 30%) alla crescita globale, a fronte dello 0.3% degli Usa.
L’Europa dovrà fronteggiare i forti differenziali di crescita interna con la Germania che si avvia a chiudere l’anno con un surplus commerciale di 260 miliardi di euro il 9.2% del Pil. Le trattative per la Brexit si fanno sempre più hard con il forte calo della sterlina dopo il recupero delle scorse settimane. Il Regno Unito nel 2015 garantiva il 20.7% del surplus commerciale tedesco (gli Usa il 22%), non sarà più così.
A rimanere molto interessante è il mondo dei bond con il forte rialzo dei rendimenti negli ultimi mesi sostenuti da una ripresa economica che appare lenta ma solida.
Il 2017 promette di essere l’anno in cui si consolida la crescita dell’eurozona, l’inflazione, riemersa nel 2016, promette di restare. Continuare a scommettere su un rally generalizzato dell’azionariato non appare proficuo, meglio continuare a selezionare con cura buone e cattive aziende perché il resto appartiene solo alla parte inconscia dei sogni che poi ha bisogno di confrontarsi con quella conscia per prendere delle decisioni. E’ vero che a inizio anno è periodo di bilanci, ma il gestore deve selezionare buoni e cattivi investimenti ogni giorno e la bussola rimane sempre la stessa: solidità, prospettive di crescita, contesto macroeconomico, diversificazione. Solo così i sogni diventeranno realtà.