Destini di vetro
- 13 Ottobre 2016
- Posted by: VectorWM
- Categoria: Non categorizzato
“Non c’era niente di sbagliato nell’aspettare. Non doveva succedere niente. Non voleva ottenere niente. Questo era quanto. La guardò di nuovo nello specchio. E invece tutto accadde, anticipando il corso naturale degli eventi…” da Destini di vetro, di Anosh Irani.
La decisione definitiva sul taglio della produzione di greggio era attesa il 30 di novembre a Vienna con l’incontro tra Paesi Opec e non Opec, bisognava aspettare. La BCE intanto avrebbe proseguito, forse addirittura aumentato, la politica monetaria espansiva mentre in Usa tra Donald Trump e Hillary Clinton era un testa a testa che si sarebbe risolto solo con le lezioni…e invece… a guardare oggi il mercato con gli occhi di settimana scorsa tutto sembra capovolto come riflesso in uno specchio…
Il prezzo del greggio è volato ai massimi degli ultimi 12 mesi, sul fronte monetario importanti macroeconomisti analizzano addirittura l’ipotesi di un tapering europeo e in Usa la Clinton è volata nei sondaggi…
A fine settembre l’Opec ad Algeri è riuscita a ricompattarsi per la prima volta negli ultimi otto anni, al punto da trovare l’accordo per un taglio di produzione di oltre 700mila barili al giorno. Non è stato facile. La svolta definitiva è arrivata dopo, a Istanbul. Questa settimana intervenendo al World Energy Congress, il presidente russo Vladimir Putin ha rilanciato con forza l’ipotesi di una collaborazione tra Mosca e l’Opec per “congelare o addirittura tagliare” la produzione di greggio. Il Brent è volato a 54 dollari, oggi quota a 52 dollari (riflesso sul nostro specchio riappare quel 25 dollari di minimo sfiorati dal WTI solo a febbraio). La Russia è il terzo Paese estrattore di greggio al mondo e la sua produzione è salita in settembre a 11,1 milioni di barili al giorno, un nuovo record in era post-sovietica. Le parole di Putin hanno spazzato ogni timore sull’esito del vertice di Vienna per sancire il taglio definitivo della produzione. Sulle ali dell’entusiasmo il ministro saudita dell’Energia, Khalid Al Falih, giudica non “impensabile” che il prezzo del petrolio torni a 60 dollari al barile entro la fine dell’anno, +20% circa rispetto ai livelli attuali. Un altro mondo rispetto a una settimana fa, capace di mettere in dubbio gli equilibri appena raggiunti. Un petrolio a 60 dollari infatti rimette in gioco l’altro grande produttore di greggio e shale gas: gli Stati Uniti (fino a settembre primo produttore mondiale sorpassato dall’Arabia Saudita). La maggior parte dei campi di shale gas Usa arriva a break-even proprio con il petrolio appena sotto i 60 dollari al barile. Per gli esperti l’enorme quantità di shale gas prodotta dagli Usa è stata la principale causa del calo del greggio di inizio anno surriscaldando i rapporti tra Mosca e Washington. L’indice
Baker Hughes che traccia l’attività di perforazione delle trivelle Usa, questa settimana si è portato sui massimi da febbraio. Il caro petrolio ha poi un effetto importante sull’inflazione nella zona euro, questo sì rischia di dare più voce alle critiche tedesche contro la politica espansiva della Bce e legare le mani al presidente Mario Draghi il prossimo anno. Da ricordare che il 2017 sarà delicato con le elezioni in Francia e Germania.
La teoria della relatività
In Usa prosegue la lotta tra colombe e falchi sul rialzo dei tassi ma ormai la strada sembra segnata. I future sui Fed Fund quotano al 68% la probabilità di un rialzo a dicembre dal 50% di due settimane fa. Un aumento dei tassi a novembre è quotato al 17%. Immediata la reazione sul fronte bond, secondo Bloomberg, le marcate vendite sui bond della scorsa settimana hanno avuto come effetto quello di far calare del 10% l’ammontare globale di bond a tassi negativi, portando la cifra a 10.700 miliardi di dollari (titoli all’interno del Barclays Global Aggregate Index). Bloomberg riporta un rumour secondo cui la Bce starebbe considerando l’idea di ridurre il programma di acquisto di titoli di Stato. E’ vero che gli specchi riflettono le parole da destra a sinistra ma parlare già di tapering europeo dal QE di qualche giorno fa appare eccessivo. Un rialzo dei tassi in Europa metterebbe al tappeto i bilanci dei Paesi periferici, Portogallo e Spagna rischiano la procedura di infrazione per l’eccessivo debito e l’Italia prevede di sforare il tetto del deficit al 2%. Alla conferenza Suerf a New York, Peter Praet, membro esecutivo della BCE, ha evidenziato che la banca centrale europea possiede circa il 14% del debito pubblico dell’Eurozona, un livello ancora inferiore rispetto a quello della Fed o della BoJ.
Destini di vetro. La pensione di Mister Thomas
Intervistata il 2 settembre del 2015 da Il Sole 24Ore tra una partita e l’altra al golf club a La Quinta, vicino Benahavis Mrs. Stephanie Thomas raccontava “Qui paghiamo di tasse locali in un anno quello che spendevamo in Inghilterra in un mese”. La signora inglese è arrivata in Spagna nove anni fa, al momento della pensione del marito. Forse aveva letto la prima edizione di Tenerife Lifeline, la guida per gli inglesi soprattutto pensionati su come sfruttare al meglio tutte le agevolazioni spagnole per i migranti europei “con una pensione viviamo bene, il costo della vita è molto più basso, andare fuori a cena è molto più economico rispetto alla Gran Bretagna, la tassa per la nostra automobile era di 400 pounds all’anno, in Spagna 89 euro. Godiamo di un’ottima assistenza sanitaria e paghiamo meno tasse… Noi qui non ci preoccupiamo sul rischio di uscire fuori dall’UE, mentre un grande problema sono i migranti economici che si trasferiscono in UK per usufruire dei sussidi e denaro che non ricevono in altri paesi” affermava Stephanie.
Nel 2013 si contava una cifra record: 76.932 mila sugli 8 milioni di abitanti Andalusia, la comunità britannica è la più numerosa di tutta la zona tanto che in alcune zone l’inglese è più diffuso dello spagnolo e alcuni paesi hanno eletto addirittura un sindaco inglese. A distanza di un anno dall’intervista la pensione del marito di Stephanie rischia di non essere più così preziosa. Il Brexit sta cambiando la vita di Stephanie. In dodici mesi la sterlina perde circa il 30% sull’euro, gli accordi su sanità e tassazione all’estero tra UK ed Europa rischiano di saltare. Intanto il governo di Theresa May è alle prese per chiedere le liste di lavoratori stranieri alle aziende e vietare lo smartwatch della Apple in parlamento perché “gli hacker russi che potrebbero ascoltare le conversazioni”. Qualcuno già mormora che il governo avrebbe già incaricato Sherlock Holmes per trovare le impronte del fat finger che nella notte del 6 ottobre ha mandato al tappeto la sterlina (per i più informati della saga il colpevole sarebbe già stato trovato… il fratello dello stesso ispettore… Elementare Watson). Una cosa è certa per un Paese con uno sbilancio commerciale previsto al 7% sul PIL per fine anno una svalutazione nel medio periodo ha sempre fatto bene e se da un lato si teme la fuga delle aziende dalla Gran Bretagna, adesso produrre in sterline e magari vendere in euro è diventato il 30% più conveniente di ieri…ma provate a raccontarlo oggi a Mrs. Stephanie e suo marito…